La produzione architettonica contemporanea in area alpina attraverso la lente della regionalità

Antonio De Rossi, Roberto Dini, Stefano Girodo

  
DOI:10.30682/aa1801introITA
 
In occasione del numero inaugurale, abbiamo pensato che la prima uscita della rivista internazionale «ArchAlp» dovesse essere caratterizzata da uno sguardo panoramico, configurandosi come una sorta di vero e proprio tour d’horizon dello spazio alpino. Ragionando con il comitato scientifico della rivista, ci è sembrato allora che una riflessione sui caratteri della produzione architettonica contemporanea nel territorio alpino europeo a partire da analisi e interpretazioni a base regionale potesse avere una valenza importante. Una restituzione quindi dello “stato dell’arte”, che però, per avere validità scientifica, doveva muovere da letture comparate, con l’obiettivo di restituire continuità e differenze nella cultura del costruire tra le diverse aree regionali alpine. Da qui l’idea di costruire il nucleo centrale del numero intorno a una serie di monografie locali. La prima questione che doveva essere criticamente tematizzata era il ricorso stesso alla categoria della regionalità come lente per indagare la produzione contemporanea alpina. Nel campo dell’architettura il termine “regione” rimanda inevitabilmente a filoni della critica e della storiografia architettonica – come il regionalismo critico – che indagano o sostengono un legame stringente tra storie e culture dello spazio regionale e produzione architettonica locale, soprattutto in chiave figurativa e costruttiva, con il rischio però di privilegiare visioni statiche fondate sul ritrovamento di continuità e permanenze. Visioni sovente di impronta culturalista in cui il tema di un’architettura regionalista – secondo un fil rouge che attraversa l’intera modernità – viene spesso a intrecciarsi con quelli della produzione artistica e letteraria. Parallelamente bisognava prestare attenzione alle diverse accezioni nazionali del termine, come ad esempio nel caso francese, dove il termine regionalisme corrisponde direttamente – e questo non solamente in anni recenti, ma lungo tutta la modernità novecentesca – a una certa idea di vernacolare strettamente connessa allo sviluppo dell’architecture des loisirs. Certamente più produttiva risultava essere la messa in tensione dialettica del termine regionalismo con quello di internazionalismo, coppia che ha costituito una forte chiave interpretativa della produzione architettonica della modernità novecentesca. Analoghi rischi di riduzionismo potevano venire al contempo da una lettura sociologica meccanica del rapporto tra contesto socioeconomico di un determinato territorio e sua rappresentazione architettonica, a discapito delle molte componenti che possono essere alla base della produzione edilizia. Al contempo, che si trattasse di una lente interpretativa significativa, in particolare modo rispetto allo spazio alpino, ci veniva confermato da contributi critici recenti, come ad esempio il numero 104 della rivista altoatesina «Turris Babel» che ha restituito gli esiti di una ricerca di EURAC (Research Institute per lo Sviluppo regionale) proprio sul rapporto tra spazi regionali e produzione/culture architettoniche, indagando i territori del Sud Tirolo, Trentino, Grigioni, Tirolo e Vorarlberg. Colta la valenza “produttiva” di tale interazione tra i due termini, si trattava però di tematizzare il termine regione non solo sul versante dell’architettura, ma anche – e questa era la seconda questione – su quello propriamente territoriale. Se nei primi decenni del Novecento i processi di modernizzazione e integrazione dello spazio alpino vertono su una dimensione ancora regionale, il secondo dopoguerra e i decenni successivi saranno caratterizzati – sebbene in presenza di diversità tra luoghi – da una progressiva omogeneizzazione dei territori sulla scorta del turismo di massa, dello spopolamento e del processo di unificazione e infrastrutturazione europea. Solo a partire dagli anni Settanta-Ottanta del Novecento avrà inizio un percorso che porterà a rafforzare, e per certi versi a reinventare, la dimensione regionale dello spazio alpino. Un percorso che vede al centro il consolidamento delle autonomie locali – che avrà tra l’altro come esito la diversificazione delle legislazioni e normative paesaggistiche, urbanistiche e edilizie regionali –, ma anche una differenziazione dei territori locali in termini di politiche e pratiche di sviluppo, turistiche, produttive e economiche, o ancora di costruzione di nuovi immaginari e identità. Da questo punto di vista, ecco allora che rispetto a concettualizzazioni architettoniche come quella del regionalismo critico – l’architettura che determina il carattere regionale – la questione si presenta capovolta, con politiche istituzionali, culturali, economiche che costruiscono, letteralmente, la regionalità del paesaggio costruito. Sullo sfondo, il sempre più marcato divaricarsi delle traiettorie delle Alpi di lingua tedesca da quelle di lingua latina. La grande attenzione per la cultura ecologista che prende corpo negli stati del centro e nord Europa verso la fine del Novecento si riversa sulle Alpi: non solo conservazione della natura e turismo soft, ma anche innovazione tecnologica, produzione di energie alternative, ecoedilizia in rapporto alle disponibilità di materiali del luogo, gestione forestale, trasporti sostenibili. Il caso del Vorarlberg, e non solo per l’architettura, è emblematico. Nelle Alpi latine i grandi protagonisti saranno invece i temi della valorizzazione della tradizione e del patrimonio storico-culturale, con una centralità della dimensione turistica – e dei processi di patrimonializzazione –che rappresenterà un limite di questa esperienza. Una divaricazione moltiplicata dalle differenze regionali e locali. Se le Alpi delle regioni – oggi in crisi come la stessa idea di Europa di fronte ai crescenti populismi e sovranismi di destra – hanno quindi conosciuto negli ultimi decenni una particolare rilevanza, lo stesso si può dire in relazione all’architettura. Pur non trattandosi di scuole o di tendenze necessariamente dai caratteri unitari, è infatti comune parlare di architettura dei Grigioni o del Vorarlberg, intendendo con queste espressioni l’emergere di produzioni architettoniche di qualità che intrattengono coi loro territori rapporti particolari. A fronte del tentativo di tematizzazione del rapporto tra architettura e regionalità nell’articolazione molteplice e “spessa” fin qui evocata, si è deciso di organizzare il numero intorno a tre nuclei specifici. Nella prima parte una serie di contributi di storici, geografi e esperti della montagna (Werner Bätzing, Luigi Lorenzetti, Carlo Olmo, Enrico Camanni) volta ad approfondire il nesso tra spazio e tempo nella definizione di pratiche e culture architettoniche.
 
La seconda parte, assai corposa, contiene invece le diverse monografie regionali, dalle Alpi francesi fino alla Slovenia. Per avere delle letture comparate, abbiamo posto ai diversi autori una serie di temi che ci sembrava importante approfondire:
• lo stato della produzione architettonica di qualità nell’ambito regionale, anche in relazione a quanto viene costruito a livello diffuso;
• l’esistenza e l’influenza di iniziative culturali (mostre, pubblicazioni, riviste, enti e fondazioni di sostegno, premi, ecc.) a favore dell’architettura di qualità, nonché la presenza di investimenti educativi e formativi capaci di sostenere l’evoluzione delle competenze per la promozione della qualità architettonica;
• l’esistenza di incentivazioni e politiche locali a favore dell’architettura di qualità;
• la percezione e la rilevanza dell’architettura contemporanea di qualità nell’opinione pubblica e nei media locali;
• il rapporto tra produzione architettonica di qualità e committenze pubbliche e private;
• i rapporti e le influenze culturali tra “interno” e “esterno”, tra spazio locale e globale (ad esempio le scuole di architettura frequentate dai progettisti e i loro percorsi formativi, o le influenze architettoniche internazionali, ecc.);
• il rapporto tra architettura di qualità e problematiche paesaggistiche e urbanistiche dello spazio regionale;
• i temi intercettati e non dalla produzione architettonica di qualità;
• l’esistenza di normative paesaggistiche e urbanistiche regionali e locali e le loro ricadute sulla produzione architettonica di qualità;
• l’influenza del marketing e delle logiche turistiche sulla produzione architettonica;
• il rapporto tra produzioni locali (filiere produttive e materiali, innovazione tecnologica, ecc.) e architettura di qualità;
• la relazione tra tematiche ecosostenibili e produzione architettonica di qualità;
• la montagnité della produzione architettonica di qualità e il modo con cui viene concettualizzato lo spazio alpino.
 
Non sempre gli autori si sono attenuti a tale canovaccio nella costruzione dei loro saggi, ma ci pare che l’insieme dei testi configuri un panorama d’insieme dai caratteri originali e comunque fino a oggi mai tentato. La terza e ultima parte raccoglie infine alcuni articoli che leggono gli esiti di iniziative culturali e di premi d’architettura recenti – Constructive Alps, Rassegna Architetti Arco Alpino – alla luce del rapporto con gli spazi regionali. In chiusura di questo primo numero desideriamo ringraziare gli autori dei saggi, il Comitato scientifico di «ArchAlp» e la rete dei Corrispondenti scientifici.
 
Un ringraziamento speciale va ad Armando Ruinelli, che è stato decisivo nei rapporti con gli autori di lingua tedesca – senza il suo supporto questo numero non avrebbe mai avuto luce –, e a Werner Bätzing e Luigi Lorenzetti.