Intervista a
JOHN COETZEE
Piergiorgio Odifreddi
Secondo Nadine Gordimer, premio Nobel
per la letteratura nel 1991, John Coetzee è il più rappresentativo scrittore
sudafricano vivente. Ma la connotazione geografica non è certamente
l'aspetto più significativo delle opere del premio Nobel per la letteratura
nel 2003: il quale, fra l'altro, dopo aver lavorato qualche anno in
Inghilterra, e insegnato a lungo negli Stati Uniti, vive ora in Australia.
Le sue opere più profonde, infatti, sondano le dimensioni dell'angoscia
in una serie di narrazioni strazianti che, spesso, mettono in scena
in prima persona personaggi femminili. Dopo una serie di romanzi straordinari,
come Terre al crepuscolo (1974), Deserto (1977), Aspettando
i barbari (1980), La vita e il tempo di Michael K. (1983),
Età di ferro (1990), Il maestro di Pietroburgo (1994)
e Vergogna (1999), e i due racconti autobiografici Infanzia
(1997) e Gioventù (2002), Coetzee ha recentemente inventato
un nuovo genere: le conferenze-racconto di La vita degli animali
(1999) e Elizabeth Costello (2003).
L'abbiamo incontrato l'11 settembre 2004 al Festival di Letteratura
di Mantova, per parlare con lui dei suoi studi matematici e dei suoi
esordi da informatico.
Lei si è laureato sia in letteratura che in matematica: interessi
contradditori o complementari?
Interessi che non hanno interagito fruttuosamente fra loro. Guardando
indietro, ora penso che avrei dovuto studiare filosofia, lingue moderne,
o addirittura lingue classiche, invece che matematica, visto che poi
ho comunque dovuto farlo in seguito.
Che
cosa l'attraeva di più, nella matematica?
Agli inizi la teoria dei numeri. In seguito, la probabilità.
Continua a interessarsene anche ora?
No, non mi sono più aggiornato sugli sviluppi contemporanei.
Lei è stato addirittura un programmatore informatico, per tre o quattro
anni.
Sí, in Inghilterra, prima di iniziare il dottorato in letteratura negli
Stati Uniti.
Cosa faceva?
Dapprima ho lavorato in una ditta che accettava lavori di programmazione
su commissione. Poi con un gruppo che faceva programmazione di sistemi.
E le piaceva?
Non posso dire che fosse un lavoro creativo, ma era coinvolgente: allo
stesso modo in cui possono esserlo gli scacchi. C'erano periodi in cui
lavoravo con intensa concentrazione, fino a sedici ore al giorno. Ora
penso a quegli anni come persi: avrei potuto spendere quelle infuocate
energie mentali su qualcosa di più importante che la programmazione.
Tra l'altro, si trattava di programmi che comunque diventavano obsoleti
in un paio d'anni, superati dai nuovi sviluppi dell'informatica.
Che cosa le ha comunque lasciato questo suo background, nel suo lavoro
di scrittore?
Mi ha insegnato a concentrarmi. E mi ha abituato a completare per bene
una costruzione in ogni dettaglio, non solo qui e là.
In Gioventù lei dice che "la poesia è verità''. Come
paragonerebbe la verità matematica a quella di un'opera d'arte?
Gioventù è il racconto di un giovane: oggi non direi più niente
di cosí romantico. Comunque, le verità matematiche sono analitiche,
e già implicite negli assiomi: come poi accada che esse abbiano poteri
descrittivi e predittivi sul mondo reale, è qualcosa che non posso dire
di capire. Le verità della poesia, e più generale dell'arte, se ci sono,
sono invece verità empiriche: più precisamente, sul modo in cui noi,
come esseri animati, sperimentiamo il mondo.
Gioventù tocca anche il problema delle relazioni tra pensiero
intuitivo da un lato, e meccanico o formale dall'altro. Ci può essere
creatività e bellezza anche in quest'ultimo? Penso, ad esempio, alle
opere di Bach o Perec.
Non credo che si possa instaurare un valido paragone tra le forme di
pensiero che occorrono in musica o in letteratura, anche quando sono
di natura relativamente formale, come negli esempi che lei cita, e i
processi di ragionamento "meccanico'', del tipo di quelli a cui
obbedisce un programma di computer. Se paragoniamo un musicista creativo
come Bach con uno relativamente non creativo come Telemann, la differenza
che ci colpisce è proprio che Bach trascende sempre il formale, in modi
assolutamente non prevedibili, mentre Telemann rimane in genere invischiato
nel formalismo.
In Gioventù lei solleva il problema se la logica sia un'invenzione
umana, e in Elizabeth Costello fa lo stesso per la nozione
di infinito e, più in generale, per la matematica. Logica e matematica
possono essere considerate tipi di creazioni artistiche, come la letteratura
e la musica?
Non saprei cosa pensare, a questo proposito. Logica e matematica sono
certamente creazioni della ragione umana, ma la storia della matematica
mostra che ciò che al momento può essere visto come un atto di libera
creazione, in seguito può avere applicazioni nel mondo reale. In altre
parole, sembra esserci una profonda congruenza tra le facoltà della
ragione e la struttura dell'universo.
E questo cosa significa?
Non lo so. A meno di postulare un creatore la cui essenza sia il logos.
In Elizabeth Costello l'omonima protagonista dice che la
sua professione è scrivere, non credere. E' veramente possibile realizzare
costruzioni intellettuali senza possedere forti credenze? Non penso
a una religione, ma a una visione del mondo o una metafisica.
Ci sono almeno tanti tipi di scrittori quanti ce ne sono di matematici,
se non di più. Naturalmente molti scrittori si basano su forti credenze,
ma per altri la cosa più importante è essere ricettivi: si potrebbe
usare qui la metafora dell'arpa eolica, le cui corde vibrano al vento.
Questi scrittori credono di essere stati "dotati'' di una facoltà,
che rischia di essere intralciata o impedita se essi permettono alle
proprie vite di essere dominate da forti convinzioni intellettuali.
In Che cos'è un classico lei discute musica e letteratura,
ma non la matematica. Non è strano, visto che essa è in fondo il migliore
esempio di qualcosa che parla attraverso i tempi e le nazioni?
A parte una piccola minoranza di casi, le dimostrazioni dei teoremi
matematici non parlano affatto attraverso i tempi: in questo senso,
sono diverse non soltanto dai testi letterari o musicali, ma anche da
quelli filosofici. Detto approssimativamente, non c'è niente che si
possa chiamare "stile individuale'', in matematica: in ogni tempo,
e in ogni campo, sembra esserci un approccio uniforme riguardo al tipo
di domande che bisogna porre, e di risposte che bisogna dare.
A me sembra che l'oggettività della matematica riguardi soltanto
i risultati, che si scoprono, e non la soggettività delle loro dimostrazioni,
che si inventano. Non solo Ramanujan, che lei cita in La vita degli
animali, ma tutti i grandi matematici sembrano avere uno stile
definito e riconoscibile. Basta ricordare l'episodio in cui Johann Bernoulli,
vista la soluzione di un problema che Newton gli aveva mandato anonimamente,
esclamò: "Riconosco il leone dalla zampata''.
Allora forse devo ritrattare la mia precedente risposta.
A proposito de La vita degli animali, Elizabeth Costello
traccia una connessione fra il genocidio degli ebrei e degli animali.
Cosa risponderebbe, a chi le obiettasse che Hitler era vegetariano?
Che il fatto che una particolare persona sia o sia stata vegetariana,
non ha nessuna importanza.
E all'osservazione che il 90% dell'agricoltura mondiale è dedicata
alla produzione di mangime per animali?
Che dedicare cosí tanto del potenziale agricolo mondiale a produrre
cibo per nutrire animali, affinchè i ricchi possano mangiare tanta carne
quanto desiderano, è moralmente vergognoso.
In La vita degli animali lei cita l'articolo di Nagel su
"cosa significa essere un pipistrello'', e in Vergogna
solleva la questione se un uomo possa mettersi nei panni di una donna.
Quali sono i limiti dell'identificazione negli altri (animali, persone,
alieni, macchine pensanti)?
In parte non si può rispondere alla domanda: ad esempio, nel caso degli
animali, coi quali non condividiamo un linguaggio. Per quanto riguarda
uomini e donne, invece, ci sono scrittrici che, a mio parere, capiscono
perfettamente l'esperienza maschile. E ho tutti i motivi di credere
che ci siano scrittori che capiscono bene l'esperienza femminile ...
Parlando di identificazione con gli altri, qual è il prezzo psicologico
che uno scrittore deve pagare per inventare personaggi angosciati e
angoscianti come quelli di Aspettando i barbari, La vita
e il tempo di Michael K. o Vergogna?
Nessun prezzo.
A proposito di quei romanzi, come mai presentano uomini sulla cinquantina
come avviati alla decadenza fisica? Mi sembra un po' prematuro, forse
perchè io ho esattamente la loro età ...
Quando ho scritto Aspettando i barbari ero sulla trentina,
e quell'età mi sembrava lontana. Ma rimane il fatto che gli uomini sulla
cinquantina non sono attraenti per le giovani donne che loro invece
trovano cosí attraenti.
Allora ho qualche motivo di credere che ci siano matematici che non
capiscono bene l'esperienza femminile ...
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