Parte Prima
I paradossi
Per gli antichi Greci erano paralogismi
in altre parole problemi “oltre la logica”, per i medioevali
erano insolubilia cioè “problemi senza soluzione”,
noi preferiamo parlare di antinomie, “problemi contro
le regole” o di paradossi vale a dire di problemi “oltre
l’opinione corrente” o “oltre l’apparenza”
Infatti, argomento di queste pagine saranno dilemmi, giochi di parole,
affermazioni, ambiguità e illusioni che possono apparire contraddittorie
e ingannevoli, a volte decisamente assurde, ma che poi, a ben guardare,
trovano soluzioni logiche e del tutto soddisfacenti; spesso, anzi, sono
proprio situazioni di questo tipo ad essere gli spunti necessari per
fondare, rivedere, approfondire intere aree dell’umano sapere.
I paradossi si trovano dappertutto, nella nostra vita quotidiana: non
è forse paradossale il modo in cui gran parte del genere umano
trascorre le vacanze? Arrostire e morire di caldo, al mare, d’estate
salvo poi rischiare l’ibernazione d’inverno in montagna…
E’ meno paradossale la credenza ai miracoli? Le statistiche lo
negano: in centocinquant’anni la Madonna ne ha dispensati sessantacinque
su un totale di cento milioni di pellegrini. Calcoli alla mano in media,
meno di una guarigione per milione, di gran lunga inferiore, ad esempio,
a quella della remissione spontanea di un tumore, prossima ad uno su
diecimila. Senza contare che, come osservava Émile Zola, fra
gli ex-voto si vedono molte stampelle ma nessuna gamba di legno.
Enunciare paradossi andando contro l’opinione comune è
cosa assai poco produttiva; è meglio concentrare l’attenzione
sui più istituzionali, che porteranno sgomento nelle menti perché
dotati di una caratteristica essenziale: essere argomenti sorprendenti,
perché poco probabili ma molto credibili, o molto probabili ma
poco credibili.
In base a questa definizione è consuetudine, quindi, classificare
i paradossi in tre differenti tipi:
1. Un paradosso si dice logico o
negativo se riduce all’assurdo le premesse su cui è
basato. L’argomento dimostra l’inaccettabilità di
alcune assunzioni implicite e apparentemente innocue. Il più
delle volte è il punto di partenza per la rifondazione delle
aree del sapere che interessa.
2. Un paradosso è retorico o nullo se si limita
a fare uso di sottili ragionamenti, o ha il solo intento di mettere
in mostra l’abilità di chi lo produce. Usato diffusamente
in didattica o in letteratura, quest’artificio può anche
essere efficace ma non è generalmente accettato come metodo filosofico;
nel pericolo di ridurre la cultura al sofisma, esso fu aspramente criticato
da Platone nel ‘Gorgia’.
3. Si definisce invece paradosso ontologico o positivo
un’argomentazione inusuale che rafforza le conclusioni già
assodate. Ecco a cosa si riferisce Quine quando osserva che “quello
che per uno è contraddittorio, per un altro diventa paradossale
e, per un altro ancora, banale”.
E’ interessante soffermarsi brevemente
sui modi in cui si presentano i paradossi, spesso, questi strani “soggetti”,
oltre a trovarsi nei ragionamenti chiari ed espliciti, amano nascondersi
in figure retoriche e linguistiche di uso comune quanto pericoloso.
Esempio ne siano l’iperbole, l’ellissi,
la parabola, il chiasmo e l’ossimoro,
ancora l’ironia e l’antifrasi.
Le illusioni sensoriali
Se rivolgiamo uno sguardo approssimato
alla realtà potremmo non accorgerci di tutti i paradossi che
ci circondano, in tutti i campi del quotidiano.
Più evidenti sono quelli che coinvolgono i nostri sensi, primo
fra tutti la vista, molti sono gli esempi, generalmente conosciuti come
illusioni ottiche.
Ecco una breve antologia dei più noti.
 |
Un bellissimo ‘falso
tridente’ |
 |
Movendo la testa
da sinistra verso destra sembra che il cerchio ruoti. |
 Le
linee diagonali sono proprio parallele, e i cerchi al centro sono identici.
In entrambi i casi l’alterazione dei nostri sensi è dovuta
agli elementi che attorniano le figure.
I contorni dei quadrati sono tutti perfettamente
bianchi. Sono solo i nostri occhi a farci scorgere alcune zone più
scure.
Le due linee verticali sono di uguale lunghezza. Ancora una volta sono
le frecce che traviano la nostra percezione di lunghezza.
Paradossi dell’area linguistica
e problemi legati all’interpretazione delle parole.
Volendo allargare il campo di esistenza
dei paradossi all’area linguistica potremmo pensare subito a messaggi
apparentemente chiari ma di difficile comprensione o a frasi che si
prestano a differenti interpretazioni.
Platone, nella Repubblica (V, 479) allude ad uno di questi
giochi a doppio senso paradossali. Una ricostruzione plausibile è
questa:
Un uomo che non era un uomo, vedente
e non vedente, ha colpito senza colpire,
con una pietra che non era una pietra, un uccello che non era un uccello,
appollaiato ma non appollaiato, su un albero che non era un albero.
Che si può leggere come:
Un eunuco monocolo ha sfiorato di
striscio con una pietra pomice un pipistrello appeso ad un cespuglio.
Molti furono i grandi che scrissero opere
dai tratti fortemente paradossali, uno su tutti: Erasmo da Rotterdam
con il suo famosissimo “Elogio della pazzia” (1511).
Una ripresa dell’umorismo e dello scritto paradossale di stampo
orientale fu il nonsense inglese il cui massimo esponente si
può identificare con Lewis Carroll, (pseudonimo di Charles Lutwidge
Dogson) nato nel 1832 e morto nel 1898, ecclesiastico e matematico.
Di personalità eccentrica, studiò alle università
di Oxford e di Cambridge e si dedicò ad interessi assai inusuali.
Egli fu infatti uno fra i primi a dedicarsi ai ritratti fotografici
come forma d’arte, inoltre si dilettò a scrivere libri
per bambini. I personaggi da lui creati sono ora famosi in tutto il
mondo, come il Cappellaio Matto di Alice nel paese delle Meraviglie
o il gatto del Cheshire, che persiste anche quando tutto sparisce. Nei
suoi romanzi sono tantissimi i giochi di parole o gli indovinelli e
i nonsense; Alice, la protagonista del libro da molti definito il suo
capolavoro, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie
(1865), li definisce “indovinelli senza risposta”, osservando
che “sono certamente nella mia lingua, ma non riesco a capirli”.
Eccone una breve antologia:
Che cosa, esattamente, non ricordi?
Chi, precisamente, non hai preso in giro?
Vuoi un regalo di non-compleanno?
Con l’esercizio, puoi abituarti a credere anche le cose impossibili.
Se un senso non c’è, non dobbiamo cercare di trovarlo.
Altro tema portante delle opere di Carroll,
inscindibile da quello dei nonsense, è quello dei sogni. I suoi
romanzi non sono altro che racconti di sogni, cioè momenti in
cui la razionalità è decisamente inibita e i pensieri
e le descrizioni si fanno complessi ma non pesanti e noiosi, proprio
perché alleggeriti con questi giochi di parole. Questa caratteristica
fa dei romanzi di Carroll opere interessanti anche per lettori adulti.
Un’avanguardia della letteratura europea del 900 che condivide
molte caratteristiche con i detti e i nonsense: è del surrealismo,
il cui principale esponente è André Brèton.
Le premesse del surrealismo risalgono alla fine degli anni Dieci, ma
solo nel 1924 esce, proprio per opera di Brèton, il Primo
manifesto del Surrealismo, nel quale diviene esplicita la volontà
di rottura da tutte le forme di realismo e di rigore razionale, rivendicando
i diritti espressivi dell’inconscio. Coerentemente con le tematiche
essi cercavano anche nuove tecniche di scrittura, sotto l’influenza
dell’ipnosi o in condizioni di follia, così da favorire
le espressioni di un automatismo psichico e di recuperare un legame
più forte con la sfera dei sogni.
André Brèton (1896-1988) è la figura centrale del
surrealismo. Egli dedicò tutto se stesso all’organizzazione
e allo sviluppo di quest’avanguardia.
La sua formazione è principalmente medica: studiò neuropsichiatria
ed esercitò la sua professione durante la Grande guerra. Tale
esperienza e l’incontro con Apollinaire furono la spinta per iniziare
a dedicarsi anche ai lavori di Freud.
La sua opera più importante è certamente l’approfondimento
di molte ricerche nel campo della scrittura automatica, anche se è
notevole la produzione poetica del dopoguerra. L’arte quindi deve
esprimere ciò che è oltre la realtà, cioè
l’inconscio, concepito come luogo in cui ogni cosa è riunita
e trova unità senza contraddizione.
Nel saggio L’immacolata concezione di Brèton ed
Eluard scritto nel 1930 compaiono alcuni aforismi che richiamano quelli
orientali tipici dello zen ma che pongono al centro dell’attenzione
l’inconscio.
Assegna un valore sconosciuto ai
tuoi sogni dimenticati.
Scrivi imperituramente sulla sabbia.
Non stare mai ad aspettare te stesso.
Lascia che sia il cuscino a svegliarti.
Bussa, di “Avanti”, e non entrare.
Il surrealismo si sviluppò anche
in Italia per opera di differenti autori che scrissero principalmente
sulla “Voce”; il più interessante fra questi è
Savinio (pseudonimo di Andrea de Chirico, fratello del noto pittore)
vissuto tra il 1891 e il 1952 che ebbe una formazione varia, tra le
avanguardie Dadaiste, Espressioniste e Surrealiste e i cui interessi
spaziavano anche in altri campi quali la musica e l’arte.
Il suo primo romanzo, uscito a puntate sulla “Voce”, dal
titolo Hermaphrodito, è un esempio pregevole di frammentismo.
In quest’opera è già presente una notevole tendenza
alla scrittura ricca di paradossi, ambiguità ed elementi fantastici
che diverrà comune nei romanzi successivi.
Alcune parti sono scritte in Francese, altre sono in dialetto, si alternano
prosa e versi, linguaggio alto e basso, citazioni di altri autori, pittori,
filosofi con intento più o meno denigratorio.
Ad esempio in <<Frara>> città del Worbas si trovano
descrizioni allucinanti di esseri fantastici e orrendi, di festini macabri
e sfrenati:
“Notte del 14 febbraio 1916:
…Proseguimento dei Saturnalia. Zampilli di lascivia dalla terra
verso le stelle, pioggia di lussuria dalle stelle sulla terra.”
Allargare quindi il significato di paradosso
a questi tipi di espressione significa poter costruire quasi una cronistoria
dei giochi di parole infatti in tutta la storia della letteratura sono
presenti indovinelli, enigmi e paradossi.
Iniziando dalla Grecia, con l’edipico “Enigma della sfinge”:
“Qual è l’animale
che alla mattina cammina con quattro piedi,
a mezzogiorno con due
e alla sera con tre?”
Ci sono poi enigmi, crittogrammi e allegorie,
meno famosi ma altrettanto interessanti e curiosi, come quello ritrovato
nel 1924 a Verona e perciò definito come Indovinello veronese:
Boves se pareba
alba pratalia araba
albo versorio teneba
et negro semen seminaba
A tutta prima potrebbe sembrare una descrizione
di una tranquilla scena agreste:
Preparava i buoi
arava i bianchi prati
conduceva il bianco aratro
e seminava il nero seme
Tuttavia, ad una lettura più attenta è possibile identificare
una pregevole allegoria della scrittura:
Impugnava
con le dita
scriveva sul foglio bianco
muoveva la bianca penna d’oca
e stendeva il nero inchiostro.
La ricerca di significati reconditi e inusuali
superando l’apparenza di un testo scritto è di per sé
un’attività paradossale, che si manifesta in differenti
forme, alcune elementari, altre più complesse.
Quella
più immediata e semplice si manifesta nei bisensi; questi
sono parole con significato doppio ed antitetico, usate spesso per creare
equilibrismi letterari.
Il più antico e noto è “farmacon”
i cui due significati sono, appunto, medicina e veleno, simboleggiati
sin dalla tradizione Greca dai due serpenti intrecciati sul caduceo.
Analogamente in italiano si trova una parola della stessa area semantica
che ha due significati totalmente differenti, c’è la “droga”
del droghiere, intesa cioè come spezia, e la “droga”
del drogato, intesa come sostanza stupefacente.
Anche Freud aveva notato queste singolarità delle parole e vi
aveva dedicato un trattato: “Significato opposto delle parole”,
scritto in cooperazione con Karl Abel.
Questi problemi di significato sono stati poi rimossi nel linguaggio
evoluto, ma, osserva Freud, l’unità degli opposti ritorna
nei sogni, nei lapsus e nelle battute e contribuisce a determinare la
paradossalità di questi aspetti della nostra vita quotidiana.
Questi argomenti sono ripresi anche in altri trattati dello stesso Freud:
L’interpretazione dei sogni, La psicopatologia della vita
quotidiana, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio.
Su una proprietà analoga, ma trasposta sul piano sintattico,
giocano altre frasi dette omografiche (proprio perché si scrivono
nello stesso modo) che hanno significato diverso a seconda di come s’interpretano
le parole all’interno della frase.
E’ sufficiente un esempio per convincersene:
Ratto trascorre e a noi rose dispensa.
La frase è semplice ma ammette due
interpretazioni entrambe corrette a seconda del significato sintattico
dei vocaboli dispensa e rose. In un caso si parla di un comune topo
che compie una razzia nella nostra dispensa, nell’altro si può
vedere un’allegoria del mese di Maggio.
Testi identici che ammettono pluralità di letture sono detti
enigmistici o crittografici, in senso lato, e la loro natura multipla
può essere prevista dall’autore o scoperta dal lettore.
Esiste un’altra tecnica detta crittografia mnemonica
che consiste nel cercare letture alternative di frasi fatte e può
portare a risultati sorprendenti; un esempio è il “mezzo
minuto di raccoglimento” che diventa “cucchiaino”.
Già nell’antichità esistevano testi, frasi e responsi
che potevano essere interpretati in modi antitetici, lo erano sempre
i responsi degli oracoli e un esempio storico è quello della
Sibilla Cumana:
IBIS REDIBIS NON MORIERIS IN BELLO
A seconda di dove vengono poste le virgole
di punteggiatura si ottengono due significati antitetici: “Andrai,
tornerai, non morirai in battaglia” oppure “Andrai, non
tornerai, morirai in battaglia”. Ecco un’altra versione
linguistica delle figure ambigue.
L’arte surrealista
All’interno
del Surrealismo molti autori hanno realizzato quadri decisamente paradossali.
Uno fra i più importanti è senza dubbio René Magritte.
Il pittore, di nazionalità belga, produsse numerose opere con
temi fantastici e onirici, permeati da un senso d’inquietudine.
Emblematica è l’opera “Impero della luce” del
1954.
E’ immediato cogliere il paradosso in quest’immagine: il
contrasto impossibile tra il luminoso cielo diurno e una tetra casa
in una buia foresta, appena illuminata da una lanterna nel mezzo della
facciata. Solo in parte, quest’effetto di oscurità è
alleviato dal riflettersi della luce nello specchio d’acqua antistante
la casa. In quest’opera come in altre dello stesso autore il senso
di inquietudine è accresciuto per la realizzazione estremamente
particolareggiata della parte inferiore dell’opera. Questa ricerca
del particolare è dovuta alla formazione dell’artista:
da Rembrandt ad Ensor è la scuola Fiamminga che esercita profonda
influenza anche in quest’opera.
Paradossi dei sistemi elettorali.
Non è solo in campo artistico ed
umanistico che possiamo trovare paradossi e giochi con parole e immagini.
Anno 2000, elezioni Presidenziali degli Stati Uniti d’America:
George W. Bush sale alla Casa Bianca pur non avendo ottenuto la maggioranza
dei voti. E’ un paradosso che la più importante “democrazia”
trovi compimento in questo modo? Apparentemente sì. Realmente
anche.
Democrazia è un termine vago, che in Grecia significava
“governo del popolo”, oggi è diventato sinonimo del
governo della maggioranza di esso, infatti, la votazione a maggioranza
è considerata il mezzo per giungere ad un governo democratico.
Tuttavia il problema sussiste: la riduzione del governo del popolo a
quello della maggioranza è giustificata? Nel 1952 l’economista
Kenneth May ha dimostrato con metodologia matematica che la votazione
a maggioranza è l’unico modo di votare che rispetti i quattro
fondamentali pilastri su cui si regge una votazione veramente democratica:
- Libertà di scelta: ciascuno è libero di
votare per il candidato che preferisce.
- Dipendenza dal voto: il risultato di una votazione è
determinato unicamente dai voti dati ai candidati
- Monotonicità: se un candidato vince in una votazione
prendendo un certo numero di preferenze, vince anche in ogni votazione
in cui prenda un numero maggiore di voti.
- Anonimato: non ci sono votanti privilegiati.
Ma i paradossi della democrazia si erano
già manifestati in passato. Durante la rivoluzione francese Marie
Jean Antoine Nicolas de Caritat, meglio conosciuto con il titolo di
marchese di Condorçet (1743-1794) aveva scoperto un problema
singolare, reso poi noto appunto come Paradosso di Condorçet.
Egli aveva già compreso, anche senza la dimostrazione di May,
che la votazione a maggioranza era un mezzo molto efficace per scegliere
il migliore tra due candidati, non altrettanto fra un numero maggiore.
L’esempio migliore di questo paradosso si è verificato
ancora una volta negli USA. Anno 1976, elezioni presidenziali americane.
Vinse Jimmy Carter su Gerald Ford, il quale aveva sconfitto Ronald Reagan;
tuttavia i sondaggi davano Reagan vincente su Carter (evento che si
verificò nel ’80); si creò dunque una situazione
circolare in cui ciascuno dei tre candidati è in grado di trionfare
su un altro ma di venire sconfitto dal restante.
Il fatto è effettivamente imbarazzante per un sistema in cui
i candidati vengono selezionati a due a due. Determinante per l’esito
dell’elezione non è solo più il volere dei cittadini
ma anche l’ordine in cui vengono selezionati i candidati.
Ecco perché a volte ci sono accese battaglie procedurali volte
a determinare l’ordine delle votazioni.
Questo paradosso è utile per definire le condizioni in cui è
conveniente una votazione a maggioranza, e quando questo sistema invece
è inutile se non dannoso. In particolare Questo sistema è
indicato nei momenti di stabilità politica, cioè nei momenti
in cui esiste un’alternativa che nessuno definisce peggiore: quella
di centro. Nei momenti di instabilità, di estremizzazione delle
opinioni, al contrario, si creano le condizioni perché ogni alternativa
sia considerata peggiore da un certo numero di individui, generando
le condizioni necessarie al paradosso. E’, infatti, solo quando
ogni alternativa è considerata peggiore, in assoluto, da qualcuno,
che il paradosso prende forma.
Il paradosso di Condorçet è solo il più famoso
dei paradossi che coinvolgono il sistema maggioritario; altri tengono
conto della transitività di una votazione e di problematiche
più complesse.
Problemi, di natura diversa, coinvolgono le elezioni con il sistema
proporzionale. Prima della votazione è da decidere il peso di
ogni collegio in base alla sua popolazione e, dopo il voto, anche la
distribuzione dei seggi può dare grosse difficoltà: infatti,
raramente, la divisione darà risultati interi e soddisfacenti.
Ecco quindi dove trova applicazione il principio di proporzionalità:
il numero di seggi assegnato sarà proporzionale alla divisione
compiuta in precedenza.
Andrebbe poi rispettato anche il principio di monotonicità,
in base al quale i collegi con più elettori non dovrebbero ricevere
meno seggi di quelli con meno elettori.
I problemi sorsero per la prima volta in America nel 1880, quando, il
parlamento decise di innalzare il numero dei deputati da 299 a trecento
e dovette essere rifatto il calcolo dei seggi da assegnare. Quello che
divenne famoso come il “paradosso dell’Alabama” mostrò
che il sistema, per quanto progettato in modo razionale e applicato
rigorosamente, portava a conseguenze paradossali: due stati aumentavano
il numero di seggi ma l’Alabama era costretta a cederne uno.
Dopo poco meno di trent’anni il sistema mostrò nuovamente
tutti i suoi limiti, allorché lo stato dell’Oklahoma entrò
a fare parte dell’Unione. In base ai calcoli si scoprì
che l’assegnazione dei seggi agli altri stati non rimaneva immutata:
lo stato di New York fu costretto a cedere uno dei suoi seggi al Maine.
Questa volta era nato il “paradosso del nuovo stato”. Le
polemiche non mancarono e diedero una forte spinta alla ricerca di una
soluzione priva di qualunque imperfezione.
La ricerca non diede i risultati sperati infatti nel 1982 Balinsky e
Peyton dimostrarono che i due principi di monotonicità e proporzionalità
non potevano mai essere applicati contemporaneamente e correttamente.
Basta che il numero di seggi da distribuire sia maggiore di sette e
i collegi siano più di quattro e nascono situazioni insolubili.
Molte nazioni, scoraggiate e spaventate da questi problemi decisero
di passare ad un sistema maggioritario “secco”; il quale
non è esente da gravi disfunzioni. Oltre al paradosso di Condorçet,
altre possono essere le difficoltà. Una delle più grandi
è rappresentata dal fatto che, in un sistema maggioritario è
possibile che un partito che abbia quasi la metà delle preferenze
non riceva nemmeno un seggio in parlamento, è sufficiente che
in ogni collegio il suo candidato perda di pochissimi voti che la situazione
finale vedrà rappresentati in parlamento tutti i candidati di
rappresentanze locali che avevano ricevuto meno preferenze.
Con un tale sistema ci si può chiedere se valga la pena di andare
a votare.
E, paradossalmente, non è una domanda stupida. Infatti un’altra
conseguenza del maggioritario è quella per cui i programmi dei
due schieramenti contrapposti tendono, pur di alleviare la concorrenza,
a convergere verso il centro per contendersi gli elettori di quell’area.
Essi sono convinti, a ragione, che gli elettori più estremisti
voteranno comunque loro e non lo schieramento opposto.
Paradossi dell’area filosofico-religiosa.
Ma i campi
in cui nascono i paradossi non sono finiti, anzi, uno su tutti spicca
per la sua paradossalità: l’area filosofico-religiosa.
Tertulliano, vissuto verso il 200 d.C., affermava credo quia absurdum
(credo perché è assurdo). Queste sono le estreme conseguenze
di ciò che affermava l’apostolo Paolo, anzi, ne rappresentano
quasi il rovesciamento, infatti non affermavano di credere una cosa
benché fosse assurda ma proprio perché era assurda.
Nel medioevo si diffusero due correnti antitetiche, l’una, razionalista,
che si rifaceva a San Tommaso d’Aquino e mirava a ricondurre la
fede alla ragione; l’altra era invece quella mistica di
Eckhart e Cusano, il quale arrivò a distruggere, attraverso la
teologia negativa perfezionata nella sua opera La dotta ignoranza,
l’impresa della scolastica di razionalizzazione della fede e il
ritorno di una teologia basata sul paradosso.
Ed erano intitolate Teologica Paradoxa le tesi che Lutero affisse
nel 1518 alla cattedrale di Wittemberg.
L’aspetto moderno della contraddizione ragione-fede prese forma
con il pensiero di Blaise Pascal, nel secolo XVII. Egli asserì
che la teologia e l’ateismo, entrambi frutto di attività
razionali, erano equidistanti dalla vera religione, quella del popolo,
fatta di slancio arazionale e fede incondizionata. Ancora una volta,
perciò, paradossi e contraddizioni si prospettano come unico
mezzo per giungere a giustificare la fedeltà a Dio, una fedeltà
che non deve giustificare nulla e non si cura di questi problemi: prende
corpo la famosa <scommessa> secondo cui si perde di meno a credere
se Dio non c’è piuttosto che a non credere se Dio c’è.
E’ nel XIX secolo, col pensiero di Søren Kierkegaard, che
il paradosso della fede acquisì un’importanza centrale
con il problema dell’incomunicabilità tra Dio e Uomo. Per
il filosofo danese, la fede è un salto, compiuto dall’individuo
per passare dallo stadio etico a quello religioso; è un passaggio
che si compie con “timore e tremore” perché in essa
nulla è garantito e presenta conseguenze che non possiamo prevedere.
Esempio migliore di questa condizione è Abramo, a cui Dio ordina
di sacrificare il figlio Isacco. In questa situazione perfino l’etica
viene sospesa. La fede si giustifica per sé stessa, non in base
a determinati principi morali. La fede rappresenta una situazione in
cui l’uomo è solo dinanzi a Dio, e si trova in una situazione
di paradosso e scandalo rispetto all’eticità mondana. Per
sottolineare l’arazionalità di questo momento, lo stesso
Kierkegaard ha precisato che il segno della fede è precisamente
la crocefissione della ragione. Alla luce di questa affermazione
diventano scandalosi in senso letterale (skandalon significa trappola)
anche tutti i paradossi teologici finora accettati primo fra tutti l’incarnazione.
|