Paradossi dell’area scientifica.
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M.C. Escher. Relatività.
Xilografia. |
Correva l’anno 1905 e Albert Einstein
formulò la sua teoria della relatività speciale, destinata
a rivoluzionare profondamente tutta la fisica moderna. Le sue teorie
coinvolgevano anche il tempo, che perdeva la sua unicità ed era
posto in relazione al sistema di riferimento. Lo scorrere del tempo
individuale di un osservatore, misurato dal suo orologio, appare, agli
altri osservatori tanto più lento tanto più egli si muove
ad una velocità elevata rispetto ad essi. Già durante
la formulazione originaria della teoria, Einstein, si accorse delle
conseguenze apparentemente paradossali cui poteva condurre questa scoperta.
Ecco la sua formulazione originaria: "Se si trovano in A due
orologi sincroni e si muove uno di essi con velocità costante
? su una curva chiusa, finché ritorna in A dopo t secondi, quest’ultimo
orologio al suo arrivo in A si trova, rispetto all’orologio rimasto
immobile, in ritardo di t/2(v/c)^2 secondi. Dunque, un orologio che
si trovi all’equatore deve procedere un po’ più lentamente
che un orologio uguale e posto nelle stesse condizioni, che si trovi
al polo."
Per ottenere il famoso paradosso basta sostituire gli orologi con due
gemelli, azione fatta da P. Langevin nel 1911 con notevole successo
mediatico. In pratica il problema era posto in questi termini: due gemelli
sono sulla Terra, uno si imbarca e compie un lungo viaggio ad altissima
velocità su un’astronave, l’altro rimane sulla Terra
e continua a svolgere un’esistenza normale. Al ritorno, il gemello
che ha viaggiato dovrebbe trovare il fratello più vecchio di
lui. Se quantifichiamo tempo e velocità potremo ottenere un riscontro
materiale usando le formule di Einstein.
Se la velocità a cui viaggia il fratello fosse quattro quinti
di quella della luce il suo viaggio dovrebbe durare all’incirca
un terzo in meno dell’attesa sul fratello. Se il viaggio durasse
quindici anni, il viaggiatore troverebbe il fratello cinque anni più
vecchio di lui.
Il paradosso è dovuto ad un problema tecnico. La situazione è
simmetrica per i due gemelli infatti anche quello che è stato
a casa dovrebbe trovare il fratello più vecchio di cinque anni,
per di più i due osservatori non sono inerziali fra loro cioè
osserveranno accelerazioni e decelerazioni uno nei confronti dell’altro;
si troveranno su due sistemi di riferimento non confrontabili.
Ci sono poi figure che mostrano caratteristiche paradossali.
In
particolare se si congiungono i due estremi di una striscia di carta
si ottiene un cilindro a due facce, una esterna ed una interna, e due
bordi costituiti da due cerchi, come nella figura qui a sinistra. Se
poi congiungiamo i due lati lunghi di un cilindro possiamo ottenere
un toro con due superfici, una interna e una esterna ma nessun bordo,
come quello qui sopra.
Nel 1858 Augustus Möbius scoprì che era possibile ottenere
una superficie paradossale: l’anello di Möbius. Questa superficie
è ottenuta congiungendo i due lati corti di una striscia dopo
aver impresso ad uno dei due una rotazione di 180 gradi. Essa
ha proprietà sorprendenti: una sola faccia e un solo bordo, e
la si può percorrere interamente senza doverne mai attraversare
il bordo. Altra peculiarità di questa particolare figura è
quella per cui se si fa scorrere su di essa un cerchio che ruota parallelamente
alla superficie in senso orario, alla fine di un percorso completo,
il cerchio ruoterà in senso antiorario; sarà necessario
fare compiere un altro giro completo al cerchio affinché torni
a ruotare in senso orario. Con un altro esempio si può dire che
un guanto per mano destra, dopo un giro sarà trasformato in un
guanto per mano sinistra. Infine, se si taglia a metà la superficie
parallelamente ai lati, non se ne ottengono due dello stesso tipo ma
una di lunghezza doppia, non più però una striscia di
Möbius ma una con due lati e due facce.
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Bottiglia di Klein |
Nel 1882 Felix Klein immaginò un’altra
superficie paradossale, ormai passata alla storia come bottiglia
di Klein. E’ un analogo del toro nello stesso modo in cui
la striscia di Möbius lo è del cilindro, in particolare
non ha né esterno né interno.
Interessanti paradossi sono stati ottenuti analizzando la definizione
di curva data da Camille Jordan nel 1887: “Una curva è
l’insieme dei punti le cui coordinate sono immagini di due funzioni
reali continue di un paramentro in un certo intervallo”. Forte
della sua definizione egli enunciò un interessante teorema: una
curva chiusa e non autointersecantesi divide il piano in due parti connesse,
una interna e una esterna.
Nel
1890 Peano scoprì che la definizione di Jordan è paradossale,
infatti, una curva può riempire un intero quadrato. Il paradosso
sta nel fatto che il quadrato è una figura bidimensionale, una
curva è unidimensionale (questa caratteristica era già
stata asserita da Euclide che parlava di lunghezza senza ampiezza).
Un esempio, più semplice, analogo a quello della curva di Peano
è stato dato nel 1891 da David Hilbert. Si divide un quadrato
in quattro parti, che vengono numerate. Ciascuna corrisponde ad un quarto
del segmento di partenza; si ripete il procedimento per ciascun quarto
e si numerano i sedici quadrati così ottenuti. Poiché
ciascuno corrisponde a un sedicesimo del segmento di partenza, la numerazione
dovrà essere consecutiva, nel senso che si può solo passare
da un quadratino ad uno adiacente ad esso. Per ottenere un’approssimazione
ogni volta più fedele alla curva proposta da Hilbert è
sufficiente ripetere il processo all’infinito.
Sebbene le problematiche sollevate da Peano e Hilbert siano state risolte
dando definizioni più complicate, altri trovarono curve paradossali,
seppure in un senso più debole delle precedenti.
Albert Koch ne propose una nel 1906.
Egli
considerò un triangolo equilatero, e cominciò a dividere
ciascuno dei tre lati in tre parti uguali, ripetendo il processo all’infinito.
Il paradosso, questa volta, sta nel fatto che è implicito nella
nozione di curva chiusa che essa debba avere una lunghezza finita. Più
precisamente, se si attribuisce dimensione 1 ad un insieme di punti
limitato quando esso ha una lunghezza finita non nulla e dimensione
2 quando esso ha un’area finita non nulla, la curva di Koch sembra
definire un insieme con dimensione maggiore di 1 ma minore di 2. Il
che sembra contraddire la natura stessa di dimensione.
A causa della simmetrica ripetitività del procedimento che lo
definisce, il bordo della figura di Koch ha la proprietà di essere
autosimile: se si trasformano due qualunque dei segmenti delle varie
approssimazioni, per esempio un lato del triangolo di partenza e un
lato dei triangolino ottenuti al primo passo, si ottiene sempre la stessa
curva al limite, soltanto in scala diversa. E’ infinita, quindi,
non solo la curva ma anche la distanza fra due suoi punti qualunque.
Da
questa conclusione deriva la impossibilità di misurare le curve
nel modo solito; è nel 1918 che Felix Haussdorff propose di misurarne
almeno il grado di autosomiglianza estendendo la nozione di dimensione
il questo modo: il segmento è una figura autosimile unidimensionale,
ottenibile unendo due parti di grandezza pari a un mezzo; analogamente
il quadrato è una figura autosimile bidimensionale, ottenibile
ponendo insieme quattro parti di grandezza un mezzo; il cubo, in ultimo,
è una figura autosimile tridimensionale, che si può ottenere
ponendo insieme otto parti di grandezza un mezzo. In generale si può
allora dire che una figura autosimile di dimensione d è ciò
che si può ottenere ponendo insieme n^d parti di grandezza 1/n.
In particolare la curva di Koch si ottiene ponendo insieme 4 parti di
grandezza 1/3 poiché si divide un segmento in tre parti e si
sostituisce quella centrale con due uguali. Ciò significa che
la sua dimensione d è tale che 4=3^d, cioè
d= (log 4)/(log 3) º1,26

Il paradosso di Koch venne risolto introducendo
un nuovo tipo di curve, chiamate frattali. Si tratta di curve
quindi che hanno dimensione di Haussdorff che è maggiore di 1.
Il numero di queste curve, contrariamente all’opinione comune,
è molto diffuso. E’ sufficiente sapere infatti che per
ogni d Î R compreso tra 1 e 2 esiste
la curva frattale corrispondente.
Il campo dei frattali è tutt’ora uno dei più affascinanti,
essi sono stati studiati da molti matematici, i più importanti
sono sicuramente Mandelbrot e Julia, scopritori degli omonimi affascinanti
insiemi.
In queste suggesive immagini possiamo ammirarne alcuni ingrandimenti.
La colorazione è frutto di un abbinamento prestabilito: a punti
con uguale proprietà corrisponde uguale intensità di colore,
mentre la scelta è del tutto casuale.
Paradossi simili a questo per grandezze che sono frazionarie esistono
anche in fisica, esempio ne siano la carica frazionaria del quark
e lo spin frazionario dei fermioni.
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Esempi dall’insieme di Julia |
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Esempi
dall’insieme di Mandelbrot |
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