Arte
Fra
gli artisti che utilizzarono schemi matematici per realizzare le loro
opere spicca la figura di Escher.
Maurits Cornelis Escher nasce a Leeuwarden, Olanda, nel 1898; oggi la
sua casa natale è stata trasformata nel Princessehof Museum.
Figlio di un ingegnere, studia al Technical College di Delft e quindi
alla Scuola di architettura e arti decorative di Haarlem, sotto la guida
del grafico portoghese Samuel Jesserun de Mesquita, iniziando qui la
sua passione per la xilografia (tecnica d’incisione dei disegni
su una superficie di legno duro dal quale si ottengono poi le stampe
su carta).
Dal 1922 al '35 visse in Italia; ogni primavera intraprendeva lunghi
viaggi in regioni isolate e poco conosciute, prendendo appunti ed eseguendo
schizzi che poi, durante l'inverno, utilizzava come base per la realizzazione
delle opere definitive.
Nell'estate del '23, a Ravello, conobbe Jetta Umiker, figlia di un industriale
svizzero; la sposò un anno dopo; in sua compagnia nel 1936 visitò
la moschea di Cordoba e l'Alhambra, la fortezza araba di Granada. Rimase
particolarmente colpito dagli ornamenti moreschi del palazzo.
Nel '35 è costretto dal fascismo a scappare in Svizzera, dove
inizia gli studi sulla prospettiva e le illusioni ottiche abbandonando
la produzione di paesaggi per dedicarsi ai disegni astratti che riproducevano
le immagini mentali maturate dopo la visita a Granada. Nel '37 si trasferisce
a Bruxelles e dopo l'invasione tedesca, definitivamente in Olanda.
La fama del suo lavoro crebbe dopo la guerra; nel 1951 si occuparono
di lui le riviste Time e Life. Nel '54
presenta a Washington le sue paradossali opere tra cui Relativity (del
'53) e lo stesso anno lo Stedelijk Museum di Amsterdam ospitò
una grande mostra delle sue opere in occasione del Convegno internazionale
di matematica. Qui Escher conobbe i matematici Donald Coxeter e Roger
Penrose, che influenzarono il suo lavoro con proposte e suggerimenti.
Ormai l'artista era apprezzato più dagli scienziati che dai critici
d'arte.
All'inizio del '59 fu pubblicato il suo trattato "La divisione
regolare del piano".
Nel 60 tenne un discorso al Congresso dell'Unione internazionale dei
cristallografi a Cambridge, in Inghilterra, e una serie di lezioni al
Massachusetts Institute of Technology (MIT).
Nel 1972 morì a Laren, in una casa di riposo per artisti mentre
ancora lavorava ai suoi mondi impossibili.
Dal contatto con Penrose nacque una collaborazione molto proficua, frutto
principale fu l’opera Waterfall.
Escher, per realizzare il paradossale effetto dell’acqua che “risale”
nel canale, sfrutta la figura impossibile creata da Penrose poco tempo
prima, chiamata, appunto, “triangolo di Penrose”.
Ma la passione naturale di questo artista per i paradossi giunge a concepire
immagini impensate, anche senza un preciso “sottofondo matematico”.
E’ l’esempio di “Mani
che disegnano” del 1948.
Il
paradosso principale affrontato in quest’opera è quello
dell’autoreferenzialità dovuta al fatto che ognuna delle
mani sta disegnando l’altra. Altro elemento contraddittorio è
il contrasto tra la tridimensionalità delle mani e la bidimensionalità
dei polsini delle camicie. L’effetto che sottolinea Escher è
quello di sottolineare che ogni disegno è una forma di illusione.
L’inganno prodotto da Escher è sviluppato con tale logica
visiva che all’osservatore non possono sfuggire gli effetti contraddittori
prodotti. Molte sue opere sono costruite come dei paradossi logici:
sembrano basate su premesse vere (le immagini), per mezzo di ragionamenti
corretti (la composizione), e tuttavia portano a conclusioni contraddittorie
(mondi impossibili).
Nella litografia del 1958, chiamata Belvedere, possiamo
osservare richiami all’architettura rinascimentale italiana. Anche
il titolo dell’opera non è certo casuale, infatti questa
struttura permette osservazioni veramente “ardite”, sottolineate
dalla posizione dei due individui che osservano dalle sue balconate;
la dama al piano di sopra sembra osservare attraverso la facciata principale
in una direzione ma l’uomo al piano di sotto pare osservare, in
tutt’altra direzione, attraverso la medesima facciata. Altro elemento
“fuori dal normale” è la scala a pioli. Al piano
di sotto appare interna all’edificio, salvo poi appoggiarsi alla
balconata esterna del piano superiore. Per convincersi dell’impossibilità
di costruire tale edificio è sufficiente osservare le colonne
del piano inferiore, sembrano incrociarsi e compiere delle pericolose
pieghe. Anche in quest’opera il modello matematico adottato da
Escher è chiaramente indicato. Si tratta del cubo di Necker,
tenuto in mano dall’ uomo seduto in basso sulla panca.
Altri figure possono essere accomunata a questa proprio per l’uso
distorto che viene fatto della prospettiva.
E’
il caso dell’opera intitolata “Su e giù”. In
particolare quest’opera presenta un unico punto di fuga utilizzato
prima come Zenit, nella parte inferiore e poi come Nadir, nella parte
superiore. La particolarità di quest’opera sta proprio
nel fatto che si tratta sempre della medesima situazione, un assolato
cortile e una scalinata con due ragazzi, una che si porge dalla finestra
e l’altro che la guarda seduto sulla scala; tuttavia il punto
di vista è duplice e la zona di fusione, il punto di fuga presenta
connotazioni paradossali. E’ infatti l’area piastrellata
che nell’opera ha la duplice funzione di soffitto e anche di pavimento.
Dopo il soggiorno in Spagna, affascinato dalle decorazioni dell’Alhambra
d i
Granada, egli intraprese lunghe ricerche nel campo delle tassellazioni,
della possibilità, cioè, di ricoprire una superficie piana
con figure o gruppi di figure senza lasciare spazi liberi.
I risultati furono sorprendenti. Prima si cimentò con figure
diverse, col solo intento di ricoprire una maggior estensione possibile,
poi passò a realizzare tassellazioni sempre più regolari
e con il minor numero di figure. A questo punto un ulteriore interesse
lo colpì ed egli cercò, attraverso le tassellazioni di
rappresentare un concetto difficile, anzi, impossibile: l’infinito.
Prima provò lavorando sui contorni della figura, sfumandoli e
rendendoli sempre più indefiniti. Ma
non fu soddisfatto. Fin’ora egli aveva lavorato con figure che
avevano la stessa area, testimone ne è il fatto che proprio per
spiegare la sua tecnica e i procedimenti che seguiva, realizzò
un’opera ad uso “didattico”. In dodici passaggi successivi
egli dimostra come, a partire da una superficie indefinita (1), egli
costruisce un reticolo geometrico, regolare e particolareggiato (2,3,4).
A partire dalpunto 5 interviene la sua creatività: egli modifica
ogni quadrato della scacchiera in modo uguale e facendo in modo che
conservi sempre la stessa area.
Modificando via via più marcatamente i contorni egli dava sviluppo
ad una tassellazione più complessa (6,7). L’ultima parte
era destinata a “dare vita” alla composizione aggiungendo
particolari in modo da eliminare la componente puramente geometrica
della composizione ma facendola apparire una cosa quasi naturale (8,9,10).
Negli ultimi due riquadri compie anche studi sulle diverse possibilità
di vivificare la composizione infatti osserviamo che nel punto 11 le
figure a sfondo nero somigliano a pesci-volanti e guardano verso sinistra.
Nel punto 12 invece le stesse figure somigliano a uccelli e guardano
verso detra. La stessa cosa accade per le figure a sfondo bianco tra
le caselle 10 e 11.

Per
rappresentare l’infinito egli pensò di variare non solo
i contorni delle figure rappresentate ma anche le dimensioni, abbandonando
quindi composizioni di figure equivalenti. La cosa lo soddisfò
decisamente. Infatti dopo aver compiuto diversi studi arrivò
a realizzare tutta una serie di opere denominate “limite del quadrato”.
Questo è uno dei suoi primi studi. Apparentemente non soddisfa
un modello matematico ben preciso. In realtà non è così.
Infatti a questo studio soggiace lo schema seguente. Anche aiutandoci
con questa ulteriore schematizzazione potrebbero sfuggirci i legami
con il paradosso di Achille e la Tartaruga o con i metodi eleatici.
Ma dopo un’osservazione attenta essi non potranno fare altro che
rivelarsi in tutta la loro chiarezza. Se noi studiamo la lunghezza dei
lati C1, C2, C3 e così via ci accorgiamo che la loro lunghezza
non si riduce in modo casuale. Escher riduce le loro dimensioni secondo
i valori successivi della serie che è stata studiata da Gregorio
da San Vincenzo per risolvere il primo dei paradossi di Zenone, ottenendo
così effettivamente una rappresentazione dell’infinito.
Egli fu decisamente soddisfatto tanto che quella del “Limite del
Quadrato”, fu una delle serie più replicate.
In
seguito egli ricevette il contributo di un altro grande matematico,
Henry Poincarè che stava sviluppando in quel momento la geometria
iperbolica. Questo lo portò a trasferire la ricerca dell’infinito
non solo sul quadrato ma anche sulla circonferenza. I risultati furono
ancora una volta veramente notevoli.
L’esempio più grande è questo “Limite del
Cerchio IV” chiamato anche Angeli e Diavoli.
Georg Cantor (1845-1918) riformulò il paradosso di Zenone nel
1872 come un procedimento che dato un segmento lo divideva in tre parti
e ne cancellava quella centrale. Continuando tale processo sui segmenti
via via rimanenti possiamo ottenere un insieme infinito di punti sparsi
chiamato appunto polvere di Cantor.
Altri matematici hanno applicato il medesimo processo ai triangoli (filtro
di Sierpinski) e ai tetraedri (Spugna di Menger) ottenendo frattali
e mostrando che il paradosso di Zenone si può intendere anche
come una prima anticipazione di essi.
Alla fine di questa breve trattazione potremmo
fare diverse riflessioni ma forse è sufficiente osservare che
spesso le crisi dei paradigmi e le scintille per le rivoluzioni matematiche
e logiche sono innescate e stimolate dai paradossi. Al loro apparire
provocano tragedie personali e collettive ma, col passare del tempo,
magari anche millenni, essi finiscono per essere integrati nel corpo
della scienza, non di rado occupandone una posizione di rilievo.
Di sicuro è nell'abisso dei paradossi che si riflette, come in
uno specchio crepato, la complessità e inafferabilità
del mondo.
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Escher Limite del quadrato. |
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Escher Limite del cerchio IV
“Angeli e Diavoli” |
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Tappeto di Menger.
La spugna non è altro che una realizzazione tridimensionale
del tappeto
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Filtro di Sierpinski |
“Questa
è infatti la natura dei paradossi: spaventi improvvisi che nutrono,
insieme al disagio delle culture, anche le barzellette sulla condizione
umana. Sono esercizi di crudeltà, e la struttura dell'universo
li approva.”
Diego Gabutti.
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