DE VITA PROPRIA
di Gerolamo
Cardano
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Gerolamo
Cardano, 1501 - 1576 |
Gerolamo Cardano, scienziato e stregone,
a metà strada fra la nuova scienza e la superstizione, è
uno dei grandi protagonisti del Cinquecento. Uomo dal carattere impossibile,
arrogante, inaffidabile e privo di scrupoli, almeno questa era l’opinione
che avevano di lui i suoi molti nemici, che cercarono in ogni modo di
rovinare il suo lavoro e la sua carriera.
“La sua carriera di furfante e di studioso – scrive Morris
Kline nella sua Storia del pensiero matematico - è una
delle più affascinanti fra tutte le fantastiche carriere degli
uomini del Rinascimento”.
Proprio per tentare di riabilitare la sua figura, offuscata da una fama
poco lusinghiera, quando aveva già superato la settantina, decise
di scrivere la sua autobiografia, De Vita propria, un libro
straordinario, che ci consente di gettare uno sguardo non solo sulla
vita di uno scienziato del Cinquecento, ma anche sull’ambiente
in cui esso viveva. Il libro venne pubblicato postumo a Parigi nel 1643
e soltanto nel 1821 venne tradotto in italiano e la traduzione francese
è del 1936.
Cardano nacque a Pavia nel 1501, figlio illegittimo di un avvocato con
la passione per la matematica e le scienze occulte. E fu il padre, che
insegnava geometria all’Università di Pavia e che, si dice,
venisse consultato dallo stesso Leonardo, ad avviarlo agli studi matematici
e a insegnargli le arti magiche, utili nella sua professione di medico,
che fu la sua principale attività.
La sua vita è tutta una serie di disavventure famigliari e personali,
culminate nel 1570 in un processo per eresia. Venne imprigionato con
l’accusa di aver compilato l’oroscopo di Cristo, come se
il suo destino potesse dipendere dalle stelle, e di aver scritto un’apologia
di Nerone, grande nemico dei cristiani. Cardano rischiava il rogo, ma
si salvò grazie alla sua fama di grande medico e ai rapporti
che per questo aveva stabilito con i potenti di tutta Europa. Trattato
benevolmente, restò in carcere soltanto pochi mesi, e appena
uscito ottenne addirittura una preziosa pensione dal Papa.
Oltre alla professione medica, i suoi interessi
spaziarono nei campi più diversi. Si occupò praticamente
di tutto. Dai suoi diciassette libri Della varietà delle
cose, ad esempio, non rimane fuori nulla, si occupò della
Luna e di dentifrici, di odori e di tipografie. Nelle scienze naturali
e in matematica i risultati furono sorprendenti. Per quanto riguarda
la matematica fu essenzialmente algebrista, ma dalla sua passione per
il gioco nacque un trattato, Liber de ludo aleae, in cui si
ritrovano le basi della moderna teoria del calcolo delle probabilità.
Cardano studiò con particolare attenzione le equazioni di terzo
grado e quando venne a sapere che Tartaglia, un altro dei grandi algebristi
del Cinquecento, ne aveva trovato la soluzione, fece di tutto per farsela
comunicare. Arrivò a giurare “nel nome di Dio e come uomo
d’onore” che mai avrebbe pubblicato le sue formule e che
le avrebbe tenute segrete, scritte in codice “affinché,
anche dopo la mia morte nessuno le possa capire”.
Convinto,
Tartaglia gli inviò la soluzione per ritrovarsela pubblicata,
poco tempo dopo, nell’opera più famosa di Cardano, l’Ars
Magna, il suo capolavoro. A parte questa vicenda poco edificante,
che Cardano giustificò dicendo che neanche Tartaglia era stato
il primo a trovare la soluzione, poiché aveva scoperto che, prima
di lui, Scipione del Ferro già la conosceva, anche se non l’aveva
mai pubblicata, Cardano è sicuramente il più celebre algebrista
del Cinquecento e uno dei più esperti. Fra Tartaglia e Cardano
nacque comunque una storica polemica che si trascinò per anni
e della quale abbiamo già parlato nella nostra lezione sul Triangolo
di Tartaglia.
Vediamo la soluzione della forma ridotta delle equazioni di terzo grado,
cioè senza il termine di secondo grado,
x3 + px + q = 0

E’ poi facile ricavare la formula
dell’equazione completa, che si trova su tutti i testi di algebra
dove, curiosamente, viene riportata come formula di Cardano, ignorando
il nome di Tartaglia.
Nell’Ars Magna, viene riportata anche la regola per la
soluzione delle equazioni di quarto grado, scoperte da un allievo di
Cardano, “Luigi Ferrari – scrive - che la scoperta dietro
mia richiesta”. Anche questa facilmente ricavabile, una volta
che sia nota la soluzione delle equazioni di terzo grado. Cardano presenta
inoltre nel suo libro i primi calcoli con i numeri complessi, ma dichiarò
di ritenerli inutili.
Tra i meriti di Cardano c’è
l’invenzione del giunto cardanico, che è all’origine
delle soluzioni di collegamento fra l’albero del cambio di velocità
con l’albero di trasmissione delle automobili.
C’è anche un gioco attribuito
a Cardano, ma probabilmente di origine più antica, di cui riportiamo
il disegno. Molti riconosceranno il gioco, noto come Gli anelli
di Cardano o Anelli cinesi, che periodicamente ritorna d’attualità
ed è formato da una barretta e da una serie di anelli che devono
essere infilati nella barretta.

Il gioco, noto come gli Anelli di Cardano,
apparve, nel 1550, in un suo libro De Subtililate. Sarà
Lucas, l’inventore della Torre
di Hanoi a darne una soluzione attraverso l’aritmetica binaria.
Per completare la presentazione di Cardano,
riportiamo un articolo di Piergiorgio Odifreddi, pubblicata da La
Repubblica , 28 gennaio 2002
CARDANO OROSCOPO E NUMERI
A 500 anni dalla nascita
del grande matematico
Benché tutti veniamo al mondo nello
stesso modo, lo spettro dei possibili incipit di un'autobiografia
è comunque vasto. Tristram Shandy fece iniziare la sua
dal momento del concepimento, solitamente rimosso per ovvi motivi. Altrettanto
originale sarebbe partire dai tentativi di aborto della propria madre
e da uno sfavorevolissimo oroscopo retroattivo, che prevedesse un essere
mostruoso. Così fece nel De vita propria Gerolamo Cardano,
che «fu strappato dal grembo materno come morto» il 24 settembre
1501, ma «rinacque con un bagno di vino caldo».
Se il buon giorno si vede dal mattino, non ci possiamo stupire del resto
della giornata: figlio illegittimo, maltrattato dai genitori, a lungo
impotente, ipocondriaco, masochista, misantropo, incline a incidenti,
balbuziente, polemico, Cardano ebbe sempre una gran fiducia in quelli
che oggi chiameremmo i suoi poteri paranormali. Nel suo primo libro,
appropriatamente intitolato Pronostico, offre una serie di
divinazioni alla breve. E per tutta la vita si sbilanciò in oroscopi
di personaggi famosi, dai re ai papi .
Ma, soprattutto, ebbe e descrisse quelli che noi classificheremmo come
sintomi isterici e schizofrenici, e che lui riteneva invece segni prodigiosi:
coincidenze significative, sogni premonitori, visioni ipnagogiche, allucinazioni
controllate, ronzii nell'orecchio, voci inferiori, conoscenza innata
delle lingue, sentore di incenso e zolfo.
Naturalmente, queste cose succedono anche oggi, nei manicomi e nei conventi.
Ma risultano più enigmatiche se riportate da persone altrimenti
sensate, quando non semplicemente geniali, come Cardano. Il quale dichiarò
più volte di sentirsi guidato da un demone socratico, che l'avrebbe
salvato in svariate occasioni.
Questi lati della personalità e della vita di Cardano sono analizzati
nel bel libro Il signore del tempo. I mondi e le opere di un astrologo
del Rinascimento di Anthony Grafton (Laterza), appena pubblicato.
Ma essi non esauriscono la complessità del personaggio, che fu
anche uno dei grandi scienziati del suo tempo.
Poiché gli piaceva giocare ai dadi e alle carte, ma perdeva sistematicamente,
decise nel 1526 di dedicarsi alla teoria matematica dei giochi d'azzardo,
con maggior successo che nella pratica. Nel De ludo aleae enunciò
due teoremi fondamentali di quello che oggi è il calcolo delle
probabilità. Anzitutto, la regola per le probabilità
congiunte, che nel caso di eventi indipendenti si ottiene moltiplicando
le probabilità individuali. E poi, la legge dei grandi numeri:
se si effettua un gran numero di tiri di dadi, e si divide la somma
dei numeri usciti per il numero dei tiri, si ottiene il valore medio
delle facce (tre e mezzo).
In matematica il nome di Cardano è però legato soprattutto
alla storia della soluzione dell'equazione di terzo grado, che costituiva
una vera e propria sceneggiata italiana. L'ingarbugliata vicenda incominciò
nei primi anni del Cinquecento, quando Scipione del Ferro risolse un
problema considerato impossibile e trovò la formula risolutiva
di un caso speciale dell'equazione.
Del Ferro tenne la sua scoperta segreta e la comunicò soltanto
nel 1526, sul letto di morte, ad Antonio Maria Fiore. Il quale incominciò,
secondo il costume dell'epoca, a sfidare a duello
aritmetico i rivali. Nel 1535 fu il turno di Nicolò Fontana,
detto Tartaglia perché da bambino era stato ferito dai francesi,
perdendo mascella e palato e rimanendo impedito nel parlare.
Ma non nel pensare, visto che "nella notte insonne" del 12
febbraio 1535 ritrovò da solo la formula di Del Ferro, e poté
battere il Fiore con un cappotto di 30 equazioni a zero.
Questa volta la notizia dell'esistenza della formula si diffuse, e Cardano
implorò Tartaglia per averla. La ricevette nel 1539 in versi,
giurando sul Vangelo che non l'avrebbe rivelata. Nel 1542 Cardano venne
a sapere che la formula era già stata trovata da Del Ferro, e
si ritenne svincolato dal giuramento. La pubblicò nel 1545 nel
suo capolavoro, l'Ars Magna, in cui inserì un trattamento
completo delle equazioni di terzo e di quarto grado dovuto al suo allievo
Ludovico Ferrari. Oltre a contenere la prima menzione dei numeri complessi,
considerati "inutili" da Cardano e indispensabili dai moderni,
il libro si concludeva con una speranzosa epigrafe: "Scritto in
cinque anni, possa durarne altrettante migliaia". Per cominciare,
ne è già durato altrettante centinaia.
Tartaglia si infuriò e accusò Cardano di plagio, anche
perché l'Ars Magna era piuttosto reticente sul suo contributo.
Ferrari scese in campo in difesa del maestro con una serie di Cartelli
di matematica disfida, ai quali Tartaglia rispose per le rime.
Dopo essersi reciprocamente richiesti soddisfazione e quattrini, e sfidati
alla soluzione di 31 problemi ciascuno, i due si incontrarono il 10
agosto 1548 in una pubblica tenzone, che si concluse con la fuga del
povero Tartaglia e il suo licenziamento dall'insegnamento.
Questa vicenda finì dunque in gloria per Cardano, e non fu l'unica.
Il trattato Sulla sottigliezza, un'opera del 1550 che oggi
definiremmo di divulgazione scientifica, fu uno dei grandi successi
editoriali del Rinascimento. E' il libro che Amleto tiene in mano all'inizio
del secondo atto, quando Polonio gli domanda cosa stia leggendo e lui
risponde: "parole, parole, parole". O almeno così riferisce
Calvino nel capitolo su Cardano di Perché leggere i classici.
Fra le tante cose, Sulla sottigliezza contiene la descrizione
di un'invenzione che, benché non dell'autore, da allora fu associata
al suo nome: il famoso giunto cardanico, che serve a trasmettere la
spinta del motore all ruota posteriore della moto, o al differenziale
dell'automobile, collegando fra loro assi non paralleli. O l'analoga
sospensione cardanica, che permette alla bussola di essere svincolata
dal rollio dell'imbarcazione, e che fu in origine inventata per portare
a spasso l'imperatore Carlo V senza agitarlo troppo.
Un altro successo arrivò nel 1552, quando l'arcivescovo di Edimburgo
mandò a chiamare Cardano per farsi curare l'asma. Fra le varie
assurdità e ovvietà che questi prescrisse, dal far inalazioni
di acqua e latte al lavarsi almeno ogni morte di Papa (cosa, questa,
apparentemente sconosciuta in Scozia), egli intuì quella che
oggi chiameremmo la natura allergica dell'asma dell'arcivescovo: eliminati
materasso e cuscini di piume, seggendo sulle quali "in fama non
si vien", il prelato guarì e lo coprì d'oro.
La fortuna scozzese durò poco, perché Cardano volle fare
l'oroscopo all'arcivescovo e al re, e lesse nelle stelle un futuro radioso
per entrambi. Il primo fu impiccato quasi subito dai riformatori, e
il secondo mori di tubercolosi l'anno dopo. Tornato precipitosamente
in Italia, il medico si inimicò i colleghi insultandoli e accusandoli
di incompetenza.
Il vento della sorte aveva comunque cambiato direzione, e le tragedie
presero ad accumularsi. Uno dei figli fu giustiziato per aver avvelenato
moglie e suoceri: una fine analoga a quella del discepolo Ferrari, avvelenato
dalla sorella. L'altro figlio di Cardano era un delinquente, e il padre
arrivò a diseredarlo. Lui stesso finì nelle grinfie dell'Inquisizione
per bestemmia astrologica, avendo questa volta calcolato l'oroscopo
di Gesù Cristo: un ottimo soggetto per queste cose, effettivamente,
visto che di lui si canta "Tu scendi dalle stelle".
Ma il Sant'Uffizio non gradì, e Cardano dovette scontare tre
mesi di carcere e altrettanti di arresti domiciliari. In cambio della
distruzione di centoventi dei suoi compromettenti trattati, nel 1573
il nuovo papa Gregorio XIII, che era stato suo collega all'università,
gli assegnò una sospirata pensione. Che Cardano potè godere
per poco, perché un'epidemia di peste se lo portò via
il 20 settembre 1576: circa tre anni dopo la data che aveva prevista
per la propria morte, in uno di quei non infallibili pronostici ai quali
è dedicato l'affascinante libro di Grafton.
Piergiorgio Odifreddi
Quelle che seguono sono alcune pagine della
autobiografia di Cardano il De propria vita liber, scritto
quando aveva già 74 anni. Le abbiamo scelte in modo da far emergere
qualche tratto del suo carattere e del suo lavoro, invitando il lettore
alla lettura del libro.
V. STATURA E ASPETTO FISICO
Sono di statura mediocre; ho i piedi piccoli,
più larghi alle estremità ed incurvati, tanto che trovo
con difficoltà delle calzature adatte ed in passato ero costretto
a farmele fare su misura. Il petto è piuttosto angusto,
le braccia sono sottili e la mano destra più carnosa, con le
dita tozze, tanto che secondo i necromanti avrei dovuto riuscire rozzo
e stupido; abbiano pudore del loro preteso sapere. La linea della vita
è breve, lunga e profonda quella detta saturnina; la mano sinistra
invece è bella, con le dita affusolate, tornite e ben congiunte;
le unghie sono lucide. Il collo è piuttosto alto e sottile, il
mento è diviso, il labbro inferiore rigonfio e pendulo; gli occhi
sono molto piccoli e se non mi concentro molto nel guardare qualcosa
tendono a socchiudersi. Sulla palpebra dell' occhio sinistro ho una
macchia simile a una lenticchia, tanto piccola che è difficile
accorgersene; la fronte è ampia e dove si congiunge alle tempie
priva di capelli; questi, come la barba, erano biondi. Ho l'abitudine
di portare i capelli tagliati e la barba (anch'essa, come il mento,
era divisa) corta, più abbondante e lunga sotto il mento. La
vecchiaia ha mutato il colore della barba ma di poco quello dei capelli.
Discorro a voce alta, tanto che coloro che mi si fingevano amici mi
riprendevano per questo; la voce è aspra, forte e tuttavia quando
insegnavo non si sentiva da lontano. Parlo poco e senza troppa grazia;
lo sguardo è fisso come di persona che sta riflettendo, gli incisivi
superiori grandi; il colorito tra il bianco e il rosso; il viso è
allungato ma non troppo e il capo tende a restringersi e a finire come
in una piccola sfera. Non vi è nulla di particolarmente raro
nella mia fisionomia, tanto che numerosi pittori venuti da lontano per
ritrarmi non riuscirono a trovare un segno che permettesse di riconoscermi
nell’immagine. Sotto la gola ho un piccolo rigonfiamento di forma
rotonda, che ho ereditato da mia madre.
XVI. NEMICI E RIVALI
Non userò per questi lo stesso metro
accurato che ho usato per gli amici elencandone i nomi; credo che Galeno
abbia sbagliato non poco a fare il nome di quel Tessalo contro cui ha
polemizzato annientandolo, perché in tal modo ci ha rivelato
chi era e cosa pensava. Se l'avversario non è dappoco conviene
riconciliarsi, se sei stato tu a ricevere l'offesa, oppure non ricorrere
alla vendetta, e in ogni caso servirsi piuttosto dei fatti che delle
parole. Per questo ho imparato non solo a disprezzare i miei rivali
ma ad aver pietà della loro pochezza. Coloro che hanno agito
di nascosto mostrano con ciò di essere più infami; quelli
che ci attaccano apertamente devono essere messi sotto accusa solo se
si può contare sulla legge.
XVII. CALUNNIE, DIFFAMAZIONI, INSIDIE
DI ACCUSATORI
Due sono i tipi di insidie: quelle che minacciano
la reputazione e gli onori, e ne parlerò ora; delle altre tratterò
in seguito. A proposito delle insidie del primo tipo, e soprattutto
di quelle occulte, occorre rilevare che se fossero state palesi non
sarebbero state così occulte, se fossero state rilevanti sarebbe
stato difficile nasconderle;
quanto a quelle di scarsa entità, sarebbe sciocco starle a rilevare
minuziosamente, perciò mi limiterò a riferire solo quattro
episodi. II primo ebbe luogo quando dovevano chiamarmi ad insegnare
a Bologna. I miei nemici inviarono a Pavia un funzionario che non vide
aula né consultò studente alcuno mq che, non so su quali
basi, dopo aver pronunciato un elogio mirabolante di un altro - forse
perché sperava che non sarebbe venuto a Bologna - stese per iscritto
queste parole, anzi queste accuse: «Di Gerolamo Cardano ho saputo
che insegna senza scolari e fa lezione ai banchi, che è un uomo
di cattivi costumi, inviso a tutti; depravato e non privo di follia,
è anche poco esperto nell'arte medica in cui sostiene opinioni
singolari, al punto che persino nella sua città nessuno lo vuole
e non esercita». Queste parole venivano lette dall'inviato dei
Bolognesi alla presenza dell'illustrissimo Borromeo, legato pontificio
di quella città. Si era già deciso di porre fine alle
trattative in corso ma, quando udirono che non esercitavo la medicina,
uno dei presenti esclamò: «So che questo non è vero,
ho visto uomini di primo rango ricorrere alla sua opera ed anch'io,
che pure non sono uno di loro, ho fatto la stessa cosa». Prese
allora la parola il legato: «Anch'io posso testimoniare che mia
madre è guarita grazie alle sue cure quando tutti la davano ormai
per spacciata». E l'altro, di rincalzo: «Certo il resto
dev'essere vero quanto questa affermazione». Il legato si associò
a queste parole, il messo tacque ed arrossì. Si decise allora
che assumessi l'incarico dell'insegnamento per un solo anno; se poi
mi fossi rivelato quale ero stato descritto, o in ogni caso poco utile
all'università e alla città, avrei potuto trovarmi un'altra
sistemazione. Se le cose fossero andate diversamente, si sarebbe potuto
firmare un contratto per l'avvenire e fissare lo stipendio, su cui non
c'era stato sinora accordo. Il legato assenti e la faccenda si chiuse
in questo modo.
Non contenti, i miei nemici inviarono un delegato del Senato per impormi
delle condizioni diverse da quelle su cui c'eravamo accordati, condizioni
che non volli accettare: mi si offriva uno stipendio minore, mi si toglieva
il luogo che era stato stabilito per le lezioni e non mi si accordava
alcuna indennità per il trasferimento. Siccome rifiutai di accoglierle
fu costretto a ritornare per far confermare tutti gli accordi fissati
in precedenza. Sebbene ostacoli di questo tipo sembrino essere di grave
impedimento, ciò deriva solo da una errata opinione degli uomini:
in realtà le cose mortali non solo non sono eterne ma sono destinate
a una rapida fine ed al sapiente è sufficiente il semplice prenderle
in considerazione, mentre sarebbe assurdo che se ne preoccupasse; i
mezzi poi non sono nulla, neppure l’ombra di un sogno, come ciascuno
può osservare facilmente nelle sue azioni, devono quindi essere
interamente trascurati rispetto ai fini. Si può dire la stessa
cosa del gioco delle noci che fanno i bambini: sarebbe sciocco chi volesse
vedere tra il successo in questa attività e la professione, la
carica o addirittura il re
gno a cui potrebbero pervenire da grandi un nesso, un rapporto di causa
o una somiglianza. Dopo questi episodi, quando già avevo iniziato
ad insegnare, cercarono di sottrarmi la scolaresca con un sotterfugio,
fissando cioè l'ora della lezione poco prima del pranzo e assegnando
l'aula per quell'ora, o poco prima, ad un altro. Suggerii allora a quest'ultimo
tre alternative, che cominciasse prima e finisse prima, o che mutasse
aula perché io potessi insegnare liberamente in quella che mi
era stata assegnata, oppure di lasciarmene scegliere un'altra. Quando
lo vidi restio a ciascuna di queste soluzioni, chiesi una nuova assegnazione
perché facesse lezione altrove; ne derivarono solo difficoltà
e dispiaceri.
Ma una nuova accusa interruppe il tutto ed io non dovetti più
sottostare a tante macchinazioni né i miei rivali sopportare
un insegnante che odiavano. Si era alla fine del mio incarico ed essi
sparsero la voce, specie nell'ambiente del cardinal Morone, che facevo
lezione a pochi studenti; il che non era del tutto vero, anzi dall'inizio
dell'anno fino alla Quaresima ne avevo avuti molti, ma alla fine, avversato
com'ero da tanti nemici e stretto da tante insidie, il valore, come
si suoI dire, aveva ceduto alla fortuna. Persuasero cosi il cardinale,
fingendo di adoperarsi per il mio onore, che era
meglio che io rinunciassi spontaneamente all'incarico: fecero in modo
che egli agisse in questo senso e la vicenda si concluse con condiscendenza
verso quanti avevano voluto tale esito più che con una soluzione
equa.
Quanto alle calunnie e alle diffamazioni, non ho da aggiungere altro;
furono così persistenti, stolte ed assurde che finirono per tradursi
in voci suscitate ad arte e in accuse senza fondamento ed è chiaro
che ne soffrì la coscienza dei responsabili più di quanto
non ne risultassi danneggiato io.
Anzi, mi lasciarono più tempo per scrivere e ampliare la mia
fama, mi allungarono la vita sottraendomi a delle fatiche eccessive
e mi dettero il piacere di conoscere le cose arcane. Per questo sono
solito dire, e l'ho sempre sulla bocca, che io non li odio e non li
ritengo colpevoli per avermi danneggiato ma per aver tentato di farlo.
Le calunnie più gravi che mi furono rivolte prima di essere chiamato
a Bologna le riferirò più avanti.
XVIII. SVAGHI E PASSATEMPI
Mi
piacciono i temperini per far la punta alle penne, per averne ho pagato
più di venti scudi d'oro, ma ho speso molto denaro anche per
acquistare vari tipi di penne: oserei dire che per comprare tutto quello
che mi serve per scrivere non basterebbero duecento scudi. Mi piacciono
inoltre le gemme, i piccoli vasi, i cestelli di bronzo e d'argento,
le piccole sfere di vetro colorato, i libri rari.
Amo poco il nuoto ma molto la pesca, che ho praticato per tutto il tempo
in cui sono stato a Pavia, e magari non avessi mai perso quest'abitudine!
Mi piacciono molto i libri di storia e in filosofia Aristotele e Plotino,
le scoperte singolari dei mistici e la medicina; tra i poeti italiani,
prediligo il Petrarca e il Pulci. Preferisco la solitudine alla compagnia,
perché se pochissimi sono i probi nessuno è veramente
dotto; non dico questo perché negli amici pretenda come indispensabile
il sapere (tutto quanto è così piccola cosa!) ma perché
non siamo costretti da nessuno a sciupare il nostro tempo e questa è
la cosa che aborro di più.
XIX. .SCACCHI E DADI
Può darsi che io non sia degno di
essere elogiato in nulla ma è certo che merito di essere biasimato
per essermi dato al gioco degli scacchi e dei dadi senza sapermi imporre
alcun freno. Mi sono dedicato per parecchi anni ad entrambi i giochi:
agli scacchi per più di quaranta, ai dadi per circa venticinque
e in tanti anni ho giocato, mi vergogno a dirlo, ogni giorno. Così
ho dilapidato contemporaneamente la mia reputazione, il mio tempo e
il mio denaro. Non c'è nessuna attenuante che possa essere avanzata
a mia discolpa, a meno che qualcuno non voglia sostenere che non si
trattava tanto di amore per il gioco quanto di odio per tutto quello
che mi costringeva a dedicarmici: calunnie, offese, povertà,
la tracotanza di alcuni, il mancato riconoscimento dei miei meriti,
il disprezzo di cui ero oggetto e la fragilità della mia salute;
conseguenza di tutto questo è stata 1'aver perduto tanto tempo
in modo indecoroso. Ne è prova il fatto che non appena ho potuto
assumere un ruolo degno di me ho abbandonato quelle occupazioni.
Nel mio libro dedicato al gioco degli scacchi ho scoperto parecchi problemi
notevoli ma alcuni tuttavia, tra un'occupazione e 1'altra, sono andati
perduti ed otto o dieci non mi è stato possibile recuperarli;
superavano veramente per difficoltà ogni capacità umana
e 1'averli individuati sembrava cosa impossibile. Ricordo questo per
invitare le persone interessate a tale genere di argomenti, nelle cui
mani oso sperare che cadranno le mie carte, ad aggiungere ad esse una
parte finale o un'introduzione.
XXXIV. I MIEI MAESTRI
Fu mio padre ad insegnarmi nella prima infanzia
i rudimenti dell' aritmetica e poco dopo, quando avevo circa nove anni,
certe nozioni quasi occulte che non so donde avesse tratte. Successivamente
mi spiegò l'astrologia degli Arabi e tentò nello stesso
tempo di infondermi il possesso di una memoria artificiale, cosa per
la quale non ero affatto portato.
Dopo i dodici anni mi insegnò i primi sei libri degli Elementi
di Euclide, ma in modo tale da trascurare le nozioni a cui potevo arrivare
da solo. Questo è tutto ciò che ho appreso senza un regolare
tirocinio scolastico e senza la conoscenza del latino; a vent' anni
quasi compiuti mi recai all'Università di Pavia e alla fine dei
ventuno tenni dispute sotto la guida del Corti, che occupava la prima
cattedra di medicina e mi degnò dell' onore di entrare in discussione
con me, privilegio che non avrei neppure osato sperare da lui. Ascoltai
le lezioni di filosofia del Branda Porro e con minore assiduità
del novarese Francesco Taeggi; nel 1524 frequentai a Padova quelle di
medicina del Corti e del Memoria. Seguii anche quelle di medicina pratica,
come si suoI dire, di Gerolamo Accoramboni e di Tosetto Momo e quelle
dello Spagnolo, filosofo di gran fama.
XLIV. SCOPERTE NOTEVOLI NELLE DIVERSE
DISCIPLINE
Tra le mie scoperte, non sapresti a quale
dare la preferenza. Nel campo della dialettica, ne era nota una sola,
quella aristotelica, ma io ho saputo dividere la trattazione di questa
materia e precisarne l'uso in modo che i seguaci delle varie scuole
potessero ricavare le regole di quella di Euclide, di Tolomeo, di Archimede,
di Ippocrate, di Galeno e di Duns Scoto. Inoltre ho esteso l'uso del
dilemma, dei luoghi comuni, dell' amplificazione, del traslato, dello
splendore, per mezzo delle quali molti hanno cercato di vedere immagini
di spettri e quasi di separare l'anima dal corpo, fornendo prove di
sapienza che appaiono straordinarie dato che è possibile estrarre
da un testo così breve un tale numero di nozioni: come se anche
nel sapere umano, non diversamente da quello divino, gli inizi coincidessero,
come in un circolo, con la fine. Non dev'essere tuttavia permesso usare
nell'insegnamento figure ed esempi in modo che il lavoro di parecchi
mesi possa avvicinarsi, prendere il posto o coincidere con quello di
un'ora (a meno che si vieti di trascriverli). La cosa ha acquisito tali
proporzioni che si è cessato ormai di stupirsi del dono estemporaneo
di far lezione, un tempo tanto valutato, ma siano scusati anche tutti
coloro che attribuiscono questo all'intervento di un demone malvagio,
poiché non conoscono né il bene né la benevolenza
di Dio.
Nel
campo delle matematiche, ho rinnovato quasi tutta l’aritmetica
e la parte di essa chiamata algebra, ho studiato molte proprietà
dei numeri ed in particolare le proporzioni e tanto delle cose già
note quanto di quelle scoperte da me ho dato una trattazione facile
o rigorosa oppure facile e rigorosa a un tempo. Nella geometria ho trattato
la proporzione confusa e riflessa, ho studiato l'infinito nella sua
relazione con il finito, sebbene già Archimede l'avesse fatto.
In musica ho scoperto nuove note e consonanze o meglio ho richiamato
in vita quelle che erano state scoperte da Tolomeo Aristosseno.
Nella filosofia naturale, ho eliminato il fuoco dal numero degli elementi,
ho insegnato che tutti i corpi sono freddi, che gli elementi non si
trasmutano fra loro e che è possibile la palingenesi. Ho studiato
le proprietà del sale e quelle dell' olio, ho dimostrato che
le qualità reali sono solo due, caldo e umido; che il calore
celeste è l'unico principio della generazione degli animali perfetti
nei corpi composti; che Dio deve essere definito immenso; che tutte
le cose che hanno parti distinte ed ordinate tra loro hanno vita ed
anima; che l'immortalità della nostra anima secondo i filosofi
è cosa reale e non vana. Che tutto risulta da un numero determinato,
come ad esempio nelle piante è determinato il numero delle foglie
e dei semi; che il principio fisico della somiglianza tra le cose è
un tipo di azione che richiede un unico principio attivo ed un'unica
materia e che da esso deriva tutta la varietà e bellezza; che
la terra può sussistere separatamente e non mescolata all' acqua
e per questo esse sono spesso prominenti in parti opposte tra loro.
Ho insegnato perché l'oriente è superiore all'occidente;
perché quando il sole si allontana dopo i solstizi sia il caldo
che il freddo aumentano per molti giorni. Ho spiegato che cosa sia il
fato e come si esplichi; ho rivelato la causa di fenomeni straordinari,
ad esempio perché se si gettano mille volte mille dadi non truccati
si ottiene lo stesso risultato; che dalle foglie imputridite delle piante
si genera un animale diverso a seconda della natura delle foglie stesse.
Che la natura come entità a sé non esiste ma è
una vuota invenzione che ha causato molti errori ed è stata introdotta
da Aristotele al solo scopo di soppiantare, servendosi di puri nomi,
la fama di Platone. Potrei aggiungere innumerevoli altre scoperte ma
tengo a sottolineare in particolare che ho insegnato a ricondurre la
contemplazione dei fenomeni naturali alla loro utilizzazione pratica,
impresa che nessuno prima di me aveva compiuto, e neppure tentato.
Nella filosofia morale ho sostenuto l'eguaglianza di con. dizione non
solo degli uomini ma di tutti gli esseri viventi: se ne può dedurre,
sulla base della ragione naturale, l'esistenza di un compenso alle nostre
azioni dopo la morte. Ho insegnato a trarre vantaggio nel mondo umano
anche dalle avversità; ho mostrato quale sia il miglior genere
di vita e come si concili con l'eguaglianza. Ho sostenuto l'esistenza
di tre regni e fatto notare che in quello umano molte volte sarebbe
meglio non sapere quel che è bene e quel che è male, se
se ne ignora la quantità; diversamente accade negli altri regni
e lo stesso discorso vale per la felicità. Ho insegnato che la
conoscenza degli uomini deve procedere dapprima in modo generale, poi
secondo le differenze tra i popoli e secondo altri fattori, come costumi,
per giungere infine ai singoli.
Nella medicina, ho scoperto la regola vera dei giorni critici, la cura
della podagra e quella generale delle febbri epidemiche; ho insegnato
a trasformare molte sostanze in sostanze oleose; ho indicato i modi
per ricavare purganti da medicine che non hanno questa proprietà
e l'azione particolare di alcune acque. Ho insegnato a cucinare i cibi
in modi diversi ed utili e a trasformare in utili e facili delle medicine
cattive, in facili delle medicine orribili; ho indicato i rimedi per
liberare e rafforzare l'ascitico, tanto da farlo camminare nello stesso
giorno, e come dalla cura di un organo si possa risalire alla conoscenza
delle malattie di un altro o alla cura delle loro cause; come rileggendo
tre o quattro volte lo stesso libro se ne possa ricavare la conoscenza
e la cura di diverse malattie. Ho rimesso in uso ed ho reso più
spedito il vero metodo per operare d'ernia ed ho dato una trattazione
ampia delle urine quando se ne conoscevano solo di parziali e limitate.
Ho commentato le opere più difficili di Ippocrate, in particolare
quelle autentiche, ma il lavoro non è ancora completato oggi,
16 novembre 1575, giorno in cui scrivo. Ho trattato ampiamente del mal
francese e ho fatto osservazioni relative a malattie difficilissime
quali l'epilessia, la pazzia, la cecità; mi sono occupato dell'uso
del crine di cavallo nell'idropisia. Altre osservazioni ho fatto relativamente
agli scirri, ai bruciori nell'urinare, moltissime sulle malattie delle
articolazioni e ancora sui calcoli ai reni, le coliche, le emorroidi
ecc., fino ad un totale di cinquemila. Lascerò la soluzione di
quarantamila problemi ed interrogativi, di duecentomila quesiti minori
e per questo quel luminare della mia patria mi chiamava l'uomo delle
scoperte.
Cardano in libreria e in rete
Giovanni Vacca, L’Opera matématica
di G. Cardano, Milano, 1932
Giorello, Giulio, Gli “oscuri
labirinti”: calcolo e geometria nel Cinque e Seicento, in
Storia d’Italia, Annali 3: “Scienza e tecnica”,
Torino, Einaudi 1980, pp. 261-342
Gerolamo Cardano, Della mia vita,
Garzanti, 2002
Anthony Grafton, Il Signore del tempo.
I mondi e le opere di un astrologo del Rinascimento, Editori Laterza
2002
Gerolamo Cardano e la tradizione dei
saperi. Atti del Convegno internazionale di studi (Milano, 23-25
maggio 2002), Franco Angeli
Oystein Ore, Cardano: The Gambling Scholar,
Princeton University Press, 1956
La Gallica Bibliothèque
ha una dozzina di testi di Cardano online:
http://gallica.bnf.fr/
Gerolamo Cardano, De ludo Aleae:
http://kloster-metten.de/cardano.htm
Gerolamo Cardano, Elogio di Nerone:
http://www.lastoria.org/prova3senecat.htm
Progetto Cardano, un’iniziativa del
Centro Studi del Pensiero Filosofico del '500 e '600:
http://www.cspf.mi.cnr.it/cardano/
Che sfortuna essere un genio, un
articolo di Umberto Bottazzini:
http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010916g.htm
La biografia matematica di Cardano:
http://www-gap.dcs.st-and.ac.uk/~history/Mathematicians/Cardan.html
La soluzione del gioco degli anelli di
Cardano:
http://users.starpower.net/bennettsw/patience.htm
E l’applet del gioco degli anelli:
http://www.cs.oberlin.edu/~jwalker/puzzle/
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