I coloranti naturali erano noti in tutte
le aree civilizzate del mondo antico. Estratti principalmente da sostanze
vegetali o animali, lavorati con altre sostanze, principalmente minerarie,
essi non erano soltanto applicati ai tessuti ma usati per molti altri
scopi.
I processi tintori, codificati a partire dal X secolo, furono profondamente
modificati con la scoperta e la colonizzazione del Nuovo Mondo. Molti
furono infatti i colori ivi coltivati che non solo arricchirono la
gamma di quelli noti e coltivati in Europa, ma che sostituirono quasi
completamente i coloranti locali, come l'indaco e il rosso coccinella.
Nella seconda metà del XVIII secolo, lo scenario si modificò
radicalmente. Si modificarono i luoghi, da piccoli laboratori a fabbriche
sempre più grandi, i gusti, le mode, e gli attori. A partire
dal 1750, soprattutto in Francia, per la grande importanza economica
e strategica che settori legati ai coloranti iniziavano ad acquisire,
criteri chimici vennero applicati |
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sistematicamente ai processi tintori,
e una nuova e ambiziosa classe di chimici specializzati iniziò
a sostituire quella dei Maestri Tintori.
In Piemonte, nel 1789, il Governo, dati i costi per la tintura delle
divise per l'esercito e per migliorare un'arte importante per l'economia
locale, si rivolse all'Accademia delle Scienze. Nello stesso anno
venne formata una commissione apposita che, dopo una accurata divisione
del lavoro, iniziò a produrre studi e analisi.
Qualche mese dopo fu deciso di bandire anche un premio per il migliore
studio sulla coltivazione del corrispondente indigeno dell'indaco,
il guado.
Per molte ragioni il lavoro della Regia Commissione per le Tinture
si interruppe nel 1792.
Quando l'Accademia riprese la sua attività scientifica dopo
il periodo francese, il tema dei coloranti naturali, il cui declino
iniziò a Londra molti decenni dopo nel 1856 con la scoperta
da parte di William Henry Perkin dell'anilina, non venne più
affrontato. |