a1 a2 a3
a4

 

Sezione 16: IL NOSTRO E L'ALTRUI MESTIERE
Primo Levi, un chimico scrittore

 

 
Un alchimista fra le ciminiere

In un breve testo dei primi anni Ottanta, raccolto in L'altrui mestiere, Primo Levi tenta di rispondere a un lettore che gli ha chiesto perché si scrive. E un testo da leggere con attenzione, perché ci consente di fare luce sulla intera poetica dello scrittore, sulle ragioni del suo operare e sulle scelte che stanno alle radici dei suoi libri. Levi finge di dare al lettore una risposta obiettiva, come staccandosi da se stesso, ed elenca nove ragioni diverse, in parte opposte, che possono muovere una persona a scrivere. Ma si sente, in ogni parola, che egli parla in realtà di sé: sia quando porta le ragioni che in trasparenza condivide, sia quando elenca quelle che con uguale trasparenza rifiuta.
"Perché se ne sente l'impulso o il bisogno", è la prima risposta. E chiarisce che questa è la ragione dei romantici; non, chiaramente, la sua. Più importante la seconda ragione: "Per divertire o divertirsi". "Fortunatamente - specifica lo scrittore - le due varianti coincidono quasi sempre: è raro che chi scrive per divertire il suo pubblico non si diverta scrivendo, ed è raro che chi prova piacere nello scrivere non trasmetta al lettore almeno una porzione del suo divertimento". [...]
Ho citato, con l'avallo dello stesso Levi, il verbo "divertire" prima di "testimoniare". Mi prendo tutta la responsabilità di questa scelta, che ad alcuni potrebbe apparire scandalosa. La parola "testimonianza" sembra quasi obbligatoria, quando si parla di Levi - qualcuno lo ha definito "il testimone" per eccellenza - sarebbe difficile saltarla. Ma testimone, dobbiamo insistere, è un esito, non è un metodo; e neppure, se si pensa alla globalità dell'opera di Levi, un fine. Se Levi è stato testimone, e testimone più alto di tutti, non è perché si fosse proposto semplicemente di testimoniare. Ma perché, a differenza di tanti altri testimoni, si era saputo dare gli strumenti della testimonianza. Anziché tentare di impartire degli insegnamenti, aveva perseguito l'arte, "che è fine a se stessa". E Levi è stato testimone tanto più efficace e, oggi possiamo dirlo, tanto più duraturo, in quanto più è stato artista. Gli strumenti gli venivano non dal desiderio di educare il prossimo ma da quel sangue di poesia che aveva rintracciato in Virgilio; soprattutto da quella leggerezza e limpidezza del bambino, dalla lucidità e saviezza di chi ha vissuto a lungo e non invano che lo portavano ad amare uno scrittore in apparenza per lui anomalo come Lewis Carrol.
Se vogliamo capire perché il Levi della testimonianza è importante, dobbiamo leggerlo negli altri libri: lontani dalla testimonianza al punto che l'autore, per pubblicare il primo fra questi, "Storie naturali", aveva preferito dissimularsi dietro un dichiarato pseudonimo. Questi libri non sono l'altra faccia dello scrittore, come qualcuno ha creduto e come egli stesso ha voluto far credere. Sono il vero Primo Levi: quello che scrive non perché pressato da circostanze esterne, quasi costretto a dare voce, lui salvato, al sacrificio dei sommersi; ma per libera scelta, per cercare di capire la società in cui vive, per porre domande che possano coinvolgere tutti e non solo chi ha condiviso la sua eccezionale esperienza; per anticipare il futuro leggendo i segni del presente; per divertire, si, certo; e per divertirsi. [...]
La ricerca di Primo Levi, in tutta la sua opera, è la ricerca di un codice. E di un codice comunicante. Sono esemplari, in "L'altrui mestiere", le pagine che ci ha lasciato contro lo "scrivere oscuro": "Chi non sa comunicare, o comunica male, in un codice che è solo suo o di pochi, è infelice, e spande infelicità intorno a sé. Se comunica male deliberatamente è un malvagio". Lui, alchimista fra le ciminiere, apprezzava il mestiere fatto bene, il lavoro compiuto con onestà, in anni in cui correvano opposte parole d'ordine. E con la stessa onestà si impegnava nella scrittura. L'epopea di Libertino Faussone in "La chiave a stella" è, in realtà, la sua epopea. Il mestiere dello scrittore lo porta a cambiare soltanto lo strumento, la penna anziché la chiave; non il dovere di usarlo perché sia utile a tutti. Non è un caso che l'opera di Primo Levi cominci con la poesia, cioè il tipo di scrittura che chiede il massimo dell'attenzione formale. Le parole devono trovare tutte le loro giunture, come i ferri che il montatore di tralicci salda con il suo apparecchio.
Fondamentale, ovviamente, in lui, la chimica: che è una metafora dell'universo, della vita, una chiave per capirla; ma è anche un linguaggio, il più rigoroso. Non si può giocare con il suo alfabeto: bisogna conoscerlo, rispettarlo e praticarlo. E la tavola di Mendelejev, per Primo Levi, è un vero alfabeto: come dimostrerà nel "Sistema periodico", come sottolineerà in tanti interventi, riconoscendo il proprio debito di scrittore verso il laboratorio per tanti anni praticato. Fino a chiamare Mendel - ebreo russo come Mendelejev - il personaggio che gli è più caro di "Se non ora, quando?", il suo alter ego narrativo. "L'abitudine a penetrare la materia, a volerne sapere la composizione e la struttura conduce a un abito mentale di concretezza e di concisione", ricorda con orgoglio in uno scritto degli anni Ottanta, quando ormai il chimico non lo faceva più. Era diventato uno scrittore a tempo pieno, ma non poteva dimenticare l'insegnamento ricevuto da tanti anni di lavoro a esplorare i segreti della materia. "Quando un lettore si stupisce del fatto che io chimico abbia scelto la via dello scrivere mi sento autorizzato a rispondergli che scrivo proprio perché sono un chimico: il mio vecchio mestiere si è largamente trasfuso nel nuovo". [...]
"Quaestio de centauris", come la maggior parte dei racconti di Levi, non si esaurisce nel repertorio linguistico a cui attinge la materia, e nemmeno nel gioco strutturale con cui la elabora. "Quaestio de centauris" è condotto su un forte tema, che rimanda a tutti gli altri temi dello scrittore. Levi racconta in modo leggero, quasi con nonchalance. [...]
Per dare verità a questo racconto, l'alchimista Primo Levi ha inventato un linguaggio, che è la misura dello scrittore. Dà forza e durata anche alla sua testimonianza precedente, garantisce quella successiva: la consegna, in modo più esemplare, alla nostra meditazione.

Giorgio Calcagno, Un alchimista fra le ciminiere, in: C. Levi Coen et al., Primo Levi: la dignità dell'uomo, Assisi : Cittadella Editrice.

 

        home        
               
               
indietro - index - visita - chrono - avanti
indietro   index sezione chrono   avanti
 
a5
a5
a5
fullerene fullerene