Il carbonio, infatti, è un elemento singolare: è
il solo che sappia legarsi con se stesso in lunghe catene stabili
senza grande spesa di energia, ed alla vita sulla terra (la sola
che finora conosciamo) occorrono appunto lunghe catene. Perciò
il carbonio è l'elemento chiave della sostanza vivente: ma
la sua promozione, il suo ingresso nel mondo vivo, non è
agevole, e deve seguire un cammino obbligato, intricato, chiarito
(e non ancora definitivamente) solo in questi ultimi anni. Se l'organicazione
del carbonio non si svolgesse quotidianamente intorno a noi, sulla
scala dei miliardi di tonnellate alla settimana, dovunque affiori
il verde di una foglia, le spetterebbe di pieno diritto il nome
di miracolo.
L'atomo di cui parliamo, accompagnato dai suoi due satelliti che
lo mantenevano allo stato di gas, fu dunque condotto dal vento,
nell'anno 1848, lungo un filare di viti. Ebbe la fortuna di rasentare
una foglia, di penetrarvi, e di esservi inchiodato da un raggio
di sole. Se qui il mio linguaggio si fa impreciso ed allusivo, non
è solo per mia ignoranza: questo avvenimento decisivo, questo
fulmineo lavoro a tre, dell'anidride carbonica, della luce e del
verde vegetale, non è stato finora descritto in termini definitivi,
e forse non lo sarà per molto tempo ancora, tanto esso è
diverso da quell'altra chimica "organica" che è
opera ingombrante, lenta e poderosa dell'uomo: eppure questa chimica
fine e svelta è stata "inventata" due o tre miliardi
d'anni addietro dalle nostre sorelle silenziose, le piante, che
non sperimentano e non discutono, e la cui temperatura è
identica a quella dell'ambiente in cui vivono. Se comprendere vale
farsi un'immagine, non ci faremo mai un'immagine di uno happening
la cui scala è il milionesimo di millimetro, il cui ritmo
è il milionesimo di secondo, ed i cui attori sono per loro
essenza visibili. Ogni descrizione verbale sarà mancante,
ed una varrà l'altra: valga quindi la seguente.
Entra nella foglia, collidendo con altre innumerevoli (ma qui inutili)
molecole di azoto ed ossigeno. Aderisce ad una grossa e complicata
molecola che lo attiva, e simultaneamente riceve il decisivo messaggio
dal cielo, sotto la forma folgorante di un pacchetto di luce solare:
in un istante, come un insetto in preda del ragno, viene separato
dal suo ossigeno, combinato con idrogeno e (si crede) fosforo, ed
infine inserito in una catena, lunga o breve non importa, ma è
la catena della vita. Tutto questo avviene rapidamente, in silenzio,
alla temperatura e pressione dell'atmosfera, e gratis: cari colleghi,
quando impareremo a fare altrettanto saremo "sicut Deus",
ed avremo anche risolto il problema della fame nel mondo.
Ma c'è anche di peggio, a scorno nostro e della nostra arte.
L'anidride carbonica, e cioè la forma aerea del carbonio
di cui abbiamo finora parlato: questo gas che costituisce la materia
prima della vita, la scorta permanente a cui tutto ciò che
cresce attinge, e il destino ultimo di ogni carne, non è
uno dei componenti principali dell'aria, bensì un rimasuglio
ridicolo, un'"impurezza", trenta volte meno abbondante
dell'argon di cui nessuno si accorge. L'aria ne contiene il 0,03
per cento: se l'Italia fosse aria, i soli italiani ad edificare
la vita sarebbero ad esempio i 15000 abitanti di Milazzo, in provincia
di Messina. Questo, in scala umana, è un'acrobazia ironica,
uno scherzo da giocoliere, una incomprensibile ostentazione di onnipotenza-prepotenza,
poiché da questa sempre rinnovata impurezza dell'aria veniamo
noi: noi animali e noi piante, e noi specie umana, coi nostri quattro
miliardi di opinioni discordi, i nostri millenni di storia, le nostre
guerre e vergogne e nobiltà e orgoglio. Del resto, la nostra
stessa presenza sul pianeta diventa risibile in termini geometrici:
se l'intera umanità, circa 250 milioni di tonnellate, venisse
ripartita come un rivestimento di spessore omogeneo su tutte le
terre emerse, la "statura dell'uomo" non sarebbe visibile
ad occhio nudo; lo spessore che si otterrebbe sarebbe di circa sedici
millesimi di millimetro.
Ora il nostro atomo è inserito: fa parte di una struttura,
nel senso degli architetti; si è imparentato e legato con
cinque compagni, talmente identici a lui che solo la finzione del
racconto mi permette di distinguerli. E' una bella struttura ad
anello, un esagono quasi regolare, che però va soggetto a
complicati scambi ed equilibri con l'acqua in cui sta sciolto; perché
ormai sta sciolto in acqua, anzi, nella linfa della vite, e questo,
di stare sciolti, è obbligo e privilegio di tutte le sostanze
che sono destinate a (stavo per dire "desiderano") trasformarsi.
Se poi qualcuno volesse proprio sapere perché un anello,
e perché esagonale, e perché solubile in acqua, ebbene,
si dia pace: queste sono fra le non molte domande a cui la nostra
dottrina sa rispondere con un discorso persuasivo, accessibile a
tutti, ma fuori luogo qui.
E' entrato a far parte di una molecola di glucosio, tanto per dirla
chiara: un destino né carne né pesce, mediano, che
lo prepara ad un primo contatto col mondo animale, ma non lo autorizza
alla responsabilità più alta, che è quella
di far parte di un edificio proteico. Viaggiò dunque, col
lento passo dei succhi vegetali, dalla foglia per il picciolo e
per il tralcio fino al tronco, e di qui discese fino a un grappolo
quasi maturo. Quello che seguì è di pertinenza dei
vinai: a noi interessa solo precisare che sfuggì (con nostro
vantaggio, perché non la sapremmo ridurre in parole) alla
fermentazione alcolica, e giunse al vino senza mutare natura.
E' destino del vino essere bevuto, ed è destino del glucosio
essere ossidato. Ma non fu ossidato subito: il suo bevitore se lo
tenne nel fegato per più d'una settimana, bene aggomitolato
e tranquillo, come alimento di riserva per uno sforzo improvviso;
sforzo che fu costretto a fare la domenica seguente, inseguendo
un cavallo che si era adombrato. Addio alla struttura esagonale:
nel giro di pochi istanti il gomitolo fu dipanato e ridivenne glucosio,
questo venne trascinato dalla corrente del sangue fino ad una fibrilla
muscolare di una coscia, e qui brutalmente spaccato in due molecole
d'acido lattico, il tristo araldo della fatica: solo più
tardi, qualche minuto dopo, l'ansito dei polmoni poté procurare
l'ossigeno necessario ad ottenere con calma quest'ultimo. Così
una nuova molecola d'anidride carbonica ritornò all'atmosfera,
ed una parcella dell'energia che il sole aveva ceduta al tralcio
passò dallo stato di energia chimica a quello di energia
meccanica e quindi si adagiò nella ignava condizione di calore,
riscaldando impercettibilmente l'aria smossa dalla corsa ed il sangue
del corridore. "Così è la vita", benché
raramente essa venga così descritta; un inserirsi, un derivare
a suo vantaggio, un parassitare il cammino in giù dell'energia,
dalla sua nobile forma solare a quella degradata di calore a bassa
temperatura. Su questo cammino all'ingiù, che conduce all'equilibrio
e cioè alla morte, la vita disegna un'ansa e ci si annda.
Siamo di nuovo anidride carbonica, del che ci scusiamo: è
un passaggio obbbligato, anche questo; se ne possono immaginare
o inventare altri, ma sulla terra è così. Di nuovo
vento, che questa volta porta lontano: supera gli Appennini e l'Adriatico,
la Gracia l'Egeo e Cipro: siamo sul Libano e la danza si ripete.
L'atomo di cui ci occupiamo è ora intrappolato in una struttura
che promette di durare a lungo: è il tronco venerabile di
un cedro, uno degli ultimi; è ripassato per gli stadi che
abbiamo già descritti, ed il glucosio di cui fa parte appartiene,
come il grano di un rosario, ad una lunga catena di cellulosa. Non
è più la fissità allucinante e geologica della
roccia, non sono più i milioni di anni, ma possiamo bene
parlare di secoli, perché il cedro è un albero longevo.
E' in nostro arbitrio abbandonarvelo per un anno o per cinquecento:
diremo che dopo vent'anni (siamo nel 1868) se ne occupa un tarlo.
Ha scavato la sua galleria fra il tronco e la corteccia, con la
voracità ostinata e cieca della sua razza; trapanando è
cresciuto, il suo cunicolo è andato ingrossando. Ecco, ha
ingoiato ed incastonato in se stesso il soggetto di questa storia;
poi si è impupato, ed è uscito in primavera sotto
forma di una brutta farfalla grigia cheora si sta asciugando al
sole, frastornata ed abbagliata dallo splendore del giorno: lui
èlà, in uno dei mille occhi dell'insetto, e contribuisce
alla visione sommaria e rozza con cui esso si orienta nello spazio.
L'insetto viene fecondato, deopone le uova e muore: il piccolo cadavere
giace nel sottobosco, si svuota dei suoi umori, ma la corazza di
chitina resiste a lungo, quasi indistruttibile. La neve e il sole
ritornano sopra di lei senza intaccarla: è sepolta dalle
foglie morte e dal terriccio, è diventata una spoglia, una
"cosa", ma la morte degli atomi, a differenza della nostra,
non è mai irrevocabile. Ecco al lavoro gli onnipresenti,
gli instancabili ed invisibili becchini del sottobosco, i microrganismi
dell'humus. La corazza, coi suoi occhi ormai ciechi, è lentamente
disintegrata, e l'ex bevitore, ex cedro, ex tarlo ha nuovamente
preso il volo.
Lo lasceremo volare per tre volte intorno al mondo, fino al 1960,
ed a giustificazione di questo intervallo così lungo rispetto
alla misura umana faremo notare che esso è invece assai più
breve della media: questa, ci si assicura, è di duecento
anni. Ogni duecento anni, ogni atomo di carbonio che non sia congelato
in materiali ormai stabili (come appunto il calcare, o il carbon
fossile, o il diamante, o certe materie plastiche) entra e rientra
nel ciclo della vita, attraverso la porta stretta della fotosintesi.
Esistono altre porte? Sì, alcune sintesi create dall'uomo;
sono un titolo di nobiltà per l'uomo-fabbro, ma finora la
loro importanza quantitativa è trascurabile. Sono porte ancora
molto più strette di quella del verde vegetale: consapevolmente
o no, l'uomo non ha cercato finora di competere con la natura su
questo terreno, e cioè non si è sforzato di attingere
dall'anidride carbonica dell'aria il carbonio che gli è necessario
per nutrirsi, per vestirsi, per riscaldarsi, e per i cento altri
bisogni più sofisticati della vita moderna. Non lo ha fatto
perché non ne ha avuto bisogno: ha trovato, e tuttora trova
(ma per quanti anni ancora?), gigantesche riserve di carbonio già
organicato, o almeno ridotto. Oltre al mondo vegetale ed animale,
queste riserve sono costituite dai giacimenti di carbon fossile
e di petrolio: ma anche questi sono eredità di attività
fotosintetiche compiute in epoche lontane, per cui si può
bene affermare che la fotosintesi non è solo l'unica via
per cui il carbonio si fa vivente, ma anche la sola per cui l'energia
del sole si fa utilizzabile chimicamente.
Primo Levi, Il sistema periodico, Torino: Einaudi, 1975,
pp. 229-238
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