Il rapporto che lega un uomo alla sua professione è simile
a quello che lo lega al suo paese; è altrettanto complesso,
spesso ambivalente, ed in generale viene compreso appieno solo quando
si spezza: con l'esilio o l'emigrazione nel caso del paese d'origine,
con il pensionamento nel caso del mestiere. Ho abbandonato il mestiere
chimico ormai da qualche anno, ma solo adesso mi sento in possesso
del distacco necessario per vederlo nella sua interezza, e per comprendere
quanto mi è compenetrato e quando gli debbo.
Non intendo alludere al fatto che, durante la mia prigionia ad Auschwitz,
mi ha salvato la vita, né al ragionevole guadagno che ne
ho ricavato per trent'anni, né alla pensione a cui mi ha
dato diritto. Vorrei invece descrivere altri benefici che mi pare
di averne tratto, e che tutti si riferiscono al nuovo mestiere a
cui sono passato, cioè al mestiere di scrivere. Si impone
subito una precisazione: scrivere non è propriamente un mestiere,
o almeno a mio parere, non lo dovrebbe essere: è un'attività
creativa, e perciò sopporta male gli orari, le scadenze,
gli impegni con i clienti e i superiori. Tuttavia, scrivere è
un "produrre", anzi un trasformare: chi scrive trasforma
le proprie esperienze in una forma tale da essere accessibile e
gradita al "cliente" che leggerà. Le esperienze
(nel senso vasto: le esperienze di vita) sono dunque una materia
prima: lo scrittore che ne manca lavora a vuoto, crede di scrivere
ma scrive pagine vuote. Ora, le cose che ho viste, sperimentate
e fatte nella mia precedente incarnazione sono oggi, per me scrittore,
una fonte preziosa di materie prime, di fatti da raccontare, e non
solo di fatti: anche di quelle emozioni fondamentali che sono il
misurarsi con la materia (che è un giudice imparziale, impassibile
ma durissimo: se sbagli ti punisce senza pietà), il vincere,
il rimanere sconfitti. Quest'ultima è un'esperienza dolorosa
ma salutare, senza la quale non si diventa adulti e responsabili.
Credo che ogni mio collega chimico lo potrà confermare: si
impara più dai propri errori che dai propri successi. Ad
esempio: formulare un'ipotesi esplicativa, crederci, affezionarcisi,
controllarla (oh, la tentazione di falsare i dati, di dar loro un
piccolo colpo di pollice!) ed infine trovarla errata, è un
ciclo che nel mestiere del chimico si incontra anche troppo spesso
"allo stato puro", ma che è facile riconoscere
in infiniti altri itinerari umani. Chi lo percorre con onestà
ne esce maturato.
Ci sono altri benefici, altri doni che il chimico porge allo scrittore.
L'abitudine a penetrare la materia, a volerne sapere la composizione
e la struttura, a prevederne le proprietà ed il comportamento,
conduce ad un insight, ad un abito mentale di concretezza e di concisione,
al desiderio costante di non fermarsi alla superficie delle cose.
La chimica è l'arte di separare, pesare e distinguere: sono
tre esercizi utili anche a chi si accinge a descrivere fatti o a
dare corpo alla propria fantasia. C'è poi un patrimonio immenso
di metafore che lo scrittore può ricavare dalla chimica di
oggi e di ieri, e che non abbia frequentato il laboratorio e la
fabbrica conosce solo approssimativamente. Anche il profano sa che
cosa vuol dire filtrare, cristallizzare, distillare, ma lo sa di
seconda mano: non ne conosce la "passione impressa", ignora
le emozioni che a questi gesti sono legate, non ne ha percepita
l'ombra simbolica. Anche solo sul piano delle comparazioni il chimico
militante si trova in possesso di una insospettata ricchezza: "nero
come..."; "amaro come..."; vischioso, tenace, greve,
fetido, fluido, volatile, inerte, infiammabile: sono tutte quantità
che il chimico conosce bene, e per ognuna di esse sa scegliere una
sostanza che la possiede in misura preminente ed esemplare. Io ex
chimico, ormai atrofico e sprovveduto se dovessi rientrare in un
laboratorio, provo quasi vergogna quando nel mio scrivere traggo
profitto di questo repertorio: mi pare di fruire di un vantaggio
illecito nei confronti dei miei neo-colleghi scrittori che non hanno
alle spalle una militanza come la mia.
Per tutti questi motivi, quando un lettore si stupisce del fatto
che io chimico abbia scelto la via dello scrivere, mi sento autorizzato
a rispondergli che scrivo proprio perché sono un chimico:
il mio vecchio mestiere si è largamente trasfuso nel nuovo.
Primo Levi, Ex chimico, in: L'altrui mestiere, Torino:
Einaudi, 1985, pp.12-14
|