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Sezione 16: IL NOSTRO E L'ALTRUI MESTIERE
La chimica in metafora

 

Il poeta è, come l'alchimista, amico del fuoco. Al fuoco della sua ispirazione il poeta dissolve le forme (apparenti) del mondo e ne inventa di nuove, più vicine a quelle autentiche della realtà originaria, in cui il linguaggio ed essere si corrispondono.
Come l'alchimista del romanzo di M. Yourcenar, l'opera al nero, il poeta moderno si stupisce della facoltà che hanno "le idee di agglomerarsi freddamente come cristalli in strane figure vane". Come 'alchimista e come il chimico, egli ritiene a volte di poter pervenire al di sotto dei nomi e delle idee a quel sostrato permanente e tuttavia erratico che è il reale, e di poter riconoscervi le leggi della sua composizione.
In uno dei suoi celebri "ossi" (I limoni), Eugenio Montale distingue - a parer nostro - fra due livelli di significato (secondo una logica di matrice schopenhaueriana), quello delle apparenze e quello della realtà vera. Al'uomo è concesso di accedere solo al primo livello, mentre il secondo, la realtà noumenica gli resta preclusa. Solo in rari momenti, come in una sorta di epifania, il poeta crede di intravedere l'ultimo segreto delle cose.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.


A questo "segreto" egli arriva, se husserlianamente sottopone ad un processo di epoché tutto ciò che condiziona la nostra conoscenza e ci fa credere al mondo delle apparenze come ad un universo di certezze immutabili.

 

Se discendiamo con il poeta dal territorio di queste false verità verso i terreni melmosi della vita umile e disadorna, abbiamo il privilegio di avvertirvi ciò che a molti sembra inarrivabile e inattingibile. È come se noi insieme al poeta riuscissimo a superare la spessa coltre delle apparenze e pervenissimo sulla soglia del reale così da potervi intravedere la sua profonda composizione. Egli si muove in un terreno di frontiera, in un mondo magmatico in cui le cose sono come dei "composti instabili" e i "legami" che le uniscono si rompono facilmente. Ma è proprio qui che il poeta può agire: il suo sguardo "fruga d'intorno", la sua "mente indaga accorda disunisce", proprio quando "il giorno più languisce". Egli come un chimico ipotizza le "valenze" di ciascun elemento, precisa i "legami" che possono unirli, dà vita a nuove sostanze. Ma questa pretesa dura poco: il suo sogno faustiano di creare la realtà vien meno. Gli è concesso solo per un attimo di contemplare il riflesso del divino nell'oro dei limoni:

e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.


Il poeta è così giunto alla fase estrema del processo alchemico e può contemplare - sia pure solo per un attimo - l'oro della verità nel crogiolo della realtà fisica e in quello invisibile dello spirito.

(Filiberto Ferro, Amico del fuoco)

 

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