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Sezione 07: IL LABORATORIO DI VETRO
Una sostanza misteriosa

Gli inizi dell'industria italiana dei vetri scientifici
Pur diversi nelle caratteristiche e nel modo di costruzione, i vetri scientifici sono formati dai vetri neutri, o da laboratorio, e dai vetri d'ottica.
I primi vetri scientifici provengono da fornaci vetrarie fiorentine e pisane. Alcuni hanno il pregio di essere appartenuti a Galilei, per esempio il termoscopio, strumento per la misura del calore, progettato da Galilei stesso intorno al 1597 durante la sua permanenza a Padova; altri a Ferdinando II, tra i quali gli igrometri a condensazione che il Granduca usava per propria curiosità. Ma la raccolta più interessante è formata dagli eleganti vetri provenienti dalla Tribuna galileiana della Specola, ora conservati nel Museo di Storia delle Scienze a Firenze. Sono bilance idrostatiche in vetro, densimetri, areometri, termometri clinici, "infingardi", a bulbo ramificato e a spirale, con "acqua arzente e migliarole", fantasiosi e leggerissimi, creati per l'Accademia del Cimento da Antonio Alemanni e da Jacopo Mariani, entrambi detti "il Gonfia".
 
Il confronto tra i vetri di Murano dei secoli XV e XVII e le raccolte vetrarie del Museo di Firenze porta ad ammirare la trasparenza del vetro toscano, qualità attribuita da Giovanni Targioni Tozzetti fin dal Settecento alla purezza delle sabbie dell'Arno. Qualità che si può riscontrare anche nella vetreria successiva di Pietro Leopoldo di Lorena proveniente da una fornace di via Ghibellina.
La produzione del vetro scientifico in Toscana assecondava l'aspirazione "mercantile" della famiglia dei Medici. Da Francesco I, che aveva raddoppiato il dazio di entrata dei prodotti stranieri per proteggere la propria industria e concesso ad una fabbrica di Pisa il monopolio per tutta la regione, la produzione è continuata fino al granducato di Ferdinando II. L'attività vetraria rientrava tuttavia a pieno titolo nella politica di protezione e sviluppo delle speculazioni scientifiche da parte della famiglia toscana ma non era così fiorente in campo economico per la vigile concorrenza dei vetrai muranesi. Il mercato più appetibile era quello romano che però, attratto dalle diverse condizioni di pagamento, preferiva la merce veneziana. Con Venezia, infatti, si dava in baratto "raso e cremisi et altre merci et in Pisa hanno a sborsare li contanti". In ogni modo era un'attività stimolante per la conoscenza dei processi vetrari tanto da spingere Donato Rossetti, insegnante di filosofia allo Studio pisano, a scrivere l'opuscolo "Composizione e passione de' vetri" nel 1691. Tuttavia l'opera più completa ed importante scaturita dall'ambiente toscano è un precedente trattato dell'abate Antonio Neri, uscito postumo nel 1612, dal titolo: "L'Arte vetraria distinta in libri 7; nei quali si scoprono meravigliosi effetti e si insegnano segreti bellissimi del vetro nel fuoco, e altre cose curiose". Il pregio dell'opera, la prima di tecnica vetraria, è data dalle numerose traduzioni in latino e nelle lingue europee tra cui quella in inglese di Christopher Merret (o Merrett) e in tedesco di Johann Kunckel.
I centri del vetro più conosciuti in Italia erano Venezia e Altare, piccolo paese dell'entroterra savonese dove era stata costruita una prima fornace nel terreno che in quel tempo era proprietà del monastero di Bergeggi e dove già nel 1495 l'arte vetraria si era costituita in Università.
Anche a Roma erano presenti centri per la produzione del vetro ma, nonostante la tutela e la protezione dei pontefici, non eccellevano nella qualità del prodotto. Diverso è il contributo dato dal Ducato di Parma che nel 1752 stabiliva di avere una vetreria propria svincolandosi dalle dipendenze estere. La Reale Fabbrica delle Maioliche e dei Vetri di Parma passerà all'inizio dell'Ottocento nelle mani di una famiglia di antichi vetrai altaresi di origine francese assumendo il nome di Vetreria Fratelli Bormioli e continuando il successo ottenuto con la produzione di bottiglie, lastre di vetro, contenitori per medicinali e cristalli.
La vetreria scientifica è sinonimo di vetreria di Jena. La storia della fabbrica tedesca inizia nel giorno in cui il chimico Otto Schott incontra Ernst Abbe nel 1879 quando gli sottopone i propri studi sul vetro ottico. Abbe era già collaboratore e socio di Carl Friedrich Zeiss, il quale aveva fondato nel 1846 un fabbrica per produrre microscopi semplici e composti e che già nel 1864 aveva 200 operai. Zeiss aveva conosciuto a sua volta Abbe nel 1866, anno in cui lo aveva assunto come ricercatore, ma la bravura di Abbe nello studio dei vetri ottici, disegnati in ogni dettaglio con modelli matematici e tali da avere una perfezione fino allora mai raggiunta, lo aveva convinto nel 1875 a prenderlo come socio della ditta. Schott, Zeiss, cui si aggiunge anche il figlio Roderich, e Abbe decidono di fondare nel 1884 il Glastechnisches Laboratorium, chiamato più tardi Jenaer Glaswerk Schott & Gen. in cui Schott sviluppa speciali tubi in vetro per termometri di alta precisione e fornisce direttamente la Zeiss. Nel 1886 la ditta Schott pubblica il primo catalogo con 44 tipi di vetro e nei cinque anni successivi produce vetri al borosilicato, particolarmente resistenti al calore e agli sbalzi di temperatura, usati nei termometri, nei laboratori scientifici, nei cilindri per lampade Auer e successivamente nei contenitori per usi farmaceutici e medici. L'anno successivo alla morte di Zeiss, avvenuta nel 1888, Ernst Abbe fonda la Carl Zeiss Stiftung (in onore di Zeiss), ente sotto la tutela dello Stato, che diventa partner della Schott. Lo Statuto della Zeiss Stiftung era un modello anche da un punto di vista della "situazione globale" della fabbrica. In una sorta di paternalismo organico, e con la piena consapevolezza della relazione tra sistema di fabbrica e questione sociale, nello Statuto si cercavano di appianare i problemi suscitati dai conflitti, stabilendo condizioni di lavoro più umane e accettabili. Nella Stiftung, già nel 1900, le giornate lavorative erano di nove ore, l'orario settimanale di 54, vi era una rappresentanza dei lavoratori, si prevedevano ferie regolari e vi era un'assicurazione medica e pensionistica. Dopo il trasferimento delle proprie quote nella Carl Zeiss Stiftung, avvenuto nel 1919, Otto Schott diventa l'unico proprietario. La fabbrica rimane a Jena fino alla fine della II guerra mondiale, ma nel 1945 tutto il personale amministrativo, tecnico, scientifico viene trasferito dalla città, diventata zona di occupazione sovietica, a Heidenheim nella zona alleata e nel 1952, dopo la divisione della Germania, si riorganizzerà a Mainz.
A Jena la produzione del vetro neutro ha avuto un grande sviluppo sostenuto anche dal fatto che l'Università locale formava gli studenti con le dovute capacità tecniche, finalizzate alla futura sistemazione nell'industria del vetro, mentre in Italia ancora nel 1917 questi risultati erano molto modesti. Istruzione-scienza-industria in Italia non erano correlate sia per la scarsa divulgazione dell'insegnamento scientifico e tecnico, sia per la scarsa pressione degli industriali poco convinti a intraprendere un piano d'investimento economia-istruzione. Solo nel 1919 appare l'unico tentativo in questo campo; si forma un vero e proprio laboratorio chimico, sotto la direzione di Arnaldo Mauri, nella Cristalleria Murano. La fabbrica aveva origine dalla Vetreria Veneziana gestita dal barone Franchetti, costituita nel 1880 come società per produzione di articoli da tavola in vetro bianco e diretta da Giuseppe Toso, ex operaio apprendista di umili origini. Alla morte del barone Franchetti nel 1906 la fabbrica passa in molte mani mentre Giuseppe Toso ne fonda una propria (Società Italiana Vetri Speciali) che produceva vetro neutro, vetrerie da laboratorio, fiale per iniezioni e per batteriologia. Le nuove esigenze del mercato, alla fine della I guerra mondiale, con l'impellente necessità di affrontare e di fronteggiare nel modo migliore tutte le richieste, impongono la fusione delle due società sotto il nome di Cristalleria Murano, di cui sarà primo presidente Luciano Barbon, industriale delle conterie, ed in seguito Giuseppe Toso. Oltre allo stabilimento dell'isola di San Michele, la Società, spinta dall'urgenza di un potenziamento per l'evolversi della farmaceutica, ne apre un altro a Treviglio, in cui venivano trasformati in fiale i tubi fabbricati a Murano, che rapidamente conquista un vasto mercato. Nei più di 600 articoli di vetreria prodotti dalla Cristalleria vi era una linea a base di vetro ignis, uno speciale tipo di vetro con caratteristiche analoghe al pyrex usato anche per scopi tecnici e industriali per l'elevata resistenza termica, mentre il pyrex, su brevetto americano, era invece un'esclusiva della M.I.V.A (Manifattura Isolatori Vetro Acqui) di Acqui Terme.
Ancora nei primi decenni del secolo XX in Italia la formazione del tubo neutro si effettuava a soffio e a mano. Soffiando da due parti opposte di uno stesso blocco di vetro fuso e allontanando le estremità si otteneva una forma cilindrica. Lavorazione difficile e dispendiosa nonostante l'abilità e l'esperienza dei maestri vetrai (per 100 metri di tubo se ne dovevano tirare 500) ma ancora di più lavorazione insana per le condizioni di lavoro deplorevoli cui erano soggetti gli operai: lavoro a cottimo e a fuoco continuo in tre turni nelle 24 ore. Né vi era la pulizia delle canne da soffio con conseguente pericolo di contagio di tubercolosi e di affezioni all'apparato respiratorio e gastrico. In complesso i vetrai avevano vita breve e lo sforzo con cui erano costretti a lavorare era chiamato "corsa alla morte".
Una delle prime industrie italiane ad introdurre, nel 1926, la lavorazione meccanica del tubo è la Cristalleria Nazionale di Napoli che applicando il brevetto Danner riuscirà a fabbricare 2000 kg di tubo in 24 ore con apprezzabile uniformità di diametro. Spinte dalle notevoli possibilità offerte dalla meccanizzazione anche la Cristalleria Murano e la Società Veneziana Conterie e Cristallerie rinnoveranno il proprio sistema organizzativo dividendosi la produzione del vetro per fiale, e farmaceutica in generale, e del tubo per usi tecnici. La meccanizzazione introdotta era comunque parziale. I vetri nazionali inoltre non avevano quel coefficiente di neutralità che offrivano i vetri di Jena.
Gli stessi termometri derivano dal tubo di vetro. Inizialmente importati dall'estero incominciano ad essere prodotti dalla Filotecnica di Milano e dalla Società Italiana Ico di Bologna. La seconda, nata da un piccolo laboratorio impiantato nel 1920 con pochi dipendenti, diventa negli anni '40 un imponente stabilimento con 600 operai e succursali a Verona e Milano. Anche la Filotecnica di Angelo Salmoiraghi ha un inizio brillante. In attività fin dal 1873, era succeduta a sua volta alla officina-scuola di Ignazio Porro, iniziatore dell'industria ottica in Italia. Porro, emigrato in Francia, aveva fondato l'Institut Technomatique con la speranza di succedere a Gambey, appena deceduto, rilevando le commesse sugli strumenti geodetici. L'Istituto dura una decina di anni dopo i quali Porro ritorna a Milano dove fonda un'officina di ottica e meccanica di precisione cui assegna il nome di Tecnomasio. Separato dai soci per divergenze di idee, realizza nella sua stessa abitazione, aiutato dal matematico Brioschi, una piccola officina, la Filotecnica, i cui operai possono essere considerati come il primo nucleo di maestranze dell'industria ottica nazionale. La Tecnomasio abbandonerà a sua volta la costruzione di strumenti di precisione per diventare un'azienda elettrica mentre la Filotecnica, rilevata da Salmoiraghi, passerà nel 1905 da ditta personale in accomandita e nel 1918 si costituisce in Anonima.
Una spinta alla produzione del vetro ottico viene dalla I guerra mondiale quando l'Italia si trova impreparata ad affrontare le provvigioni dell'esercito. L'ottica era interamente importata dall'estero e le stesse conoscenze teoriche e tecniche erano dominio esclusivo della Germania. Per risolvere questo grave e urgente problema viene installato un impianto a Roma presso il Laboratorio di Precisione del R. Esercito e, con l'aiuto di vecchi libri della scuola tedesca sull'ottica, la questione viene affrontata anche dal personale delle Officine Galileo che non poteva perdere gli ordinativi sugli strumenti ottici, diventati di primaria importanza per l'industria bellica. Le Officine Galileo di Firenze, partite da una piccola officina di Giovan Battista Amici, erano state strutturate in società nel 1906 da Giuseppe Volpi di Misurata. Di questa, presidente Giuseppe Orlando dei cantieri di Livorno, faceva parte anche Guglielmo Marconi. La potenzialità della Galileo cresce nel 1929 quando assorbirà lo stabilimento di Francesco Koristka di Milano che aveva una buona fama nel settore. Koristka, infatti, di origine polacca, dopo aver lavorato a Vienna ed essere stato aiutante di Salmoiraghi, si era messo in proprio costruendo microscopi e obiettivi fotografici, forte di un accordo con Abbe che gli aveva ceduto i brevetti Zeiss.
Ma, nonostante l'impegno nel fondare l'Istituto Sperimentale per lo Studio e l'Applicazione del Boro e del Silicio, di cui è promotore Piero Ginori Conti, già presidente della Società Boracifera di Larderello, la cui nuova sede viene inaugurata da Guglielmo Marconi nel 1934, e nonostante la presa di posizione della Corporazione del Vetro e della Ceramica nel 1935 quando viene rilevata l'importanza dell'organizzazione scientifica dell'industria vetraria, che promuove tra l'altro la costituzione di una Regia Stazione Sperimentale per le Ricerche, permanevano nelle industrie vetrarie italiane difficoltà di ordine scientifico, tecnico e finanziario. Difficoltà da cui non era esente la stessa Cristalleria che, malgrado tutto il lavoro di raccolta di materiale per la riproduzione dei vetri ottici, lo studio delle sabbie istriane, le osservazioni e i controlli nel proprio laboratorio chimico, aveva sospeso nel 1932 il corso delle esperienze senza iniziare una produzione industriale. Di certo le spese non indifferenti che aveva sostenuto per l'organizzazione degli impianti del vetro neutro non la incoraggiarono ad istallare un'industria nazionale di vetri ottici.
In sintesi si può affermare che il problema del vetro d'ottica alla fine degli anni '30 non era interamente risolto.
Per capirne a fondo i motivi si prende a prestito il giudizio degli ispettori della Banca Commerciale che nel 1934 stilano una relazione sulla Salmoiraghi: "non si conseguono utili nemmeno nel periodo bellico, l'andamento è nettamente deficitario, i brevetti più importanti sono stranieri, vi è un perdurante disinteresse nell'assumere personale tecnico e diplomato, aggravato dall'incomprensione dell'ing. Salmoiraghi per le moderne esigenze tecniche e di mercato, da un'organizzazione direttiva superata come mentalità e cultura che ha portato al decadimento dell'azienda evidente negli ultimi tempi".

Da: N. Nicolini, in La collezione di vetreria scientifica, a cura di N. Nicolini e G. Terenna, C.U.T.V.A.P., Siena: Nuova Immagine Editrice, 1999.

 

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