Rimontando la valle del Nera così radicalmente manomessa
dalle opere, dove il sereno cielo dell'Umbria è velato e
fatto greve da bianchi vapori, pensavo quante valli d'Italia, quanti
suoi fiumi conoscono la fatica dei minuscoli esseri, indaffarate
formiche, che giorno per giorno ne cavano materia di vita, dopo
aver contenuto e vinto la ignara pienezza dell'acque!
E pensavo di altri doni che a noi sono stati negati perchè
ingegno e tenacia ci permettessero di egualmente raggiungerli.
L'indipendenza della nazione dai rifornimenti stranieri è
il risultato di una ricerca e di una lotta rivolta a conquiste molteplici,
innumerevoli: e direi a una conquista totalitaria, se l'aggettivo
fosse mio.
Nessun volume, nessuna pagina deve mancare alla enciclopedia della
totalità. E mi proponevo di filmare momenti di questa lotta,
iniziando il mio viaggio dalle industrie della chimica sintetica,
operanti per la agricoltura e la difesa.
Ma il pieno deflusso del Nera, o della Nera, se preferite, m'avvince:
dopo serenità di colli, querceti, uliveti, il fiume va così
torbido e ricco, allorchè le sue forre lo inghiottono, che
mi riviene a mente il detto che dicono a Orte: "Il Tevere non
sarebbe il Tevere, se la Nera non gli desse da bevere".
Ed eccomi però immerso in un fragore continuo, tremendo,
che non viene dal fiume: in corrispondenza di una stretta, la montagna
è bianca, spaccata: quasi gli umani se la mangiassero, a
fette. E opere di presa di acque devolvono la portata del fiume
verso rettangolari centrali: ronzanti, per solito: ma qui tacitate
da questo diavolio dei frantoi.
Fabbricare l'azoto non si può dire, poichè esso è
nell'aria che respiriamo. Si dice invece fissare l'azoto, cioè
captarlo dall'aria, unirlo ad altri elementi di natura, preparare
dei sali azotati da spargere sui coltivi: già le radici del
frumento lavorano, lavorano, nel buio della terra, ad assorbire
dalla terra i composti azotati; perchè anche domani il popolo
vittorioso e rude possa deglutire il suo pane.
I chimici, i biologi chiamano ciclo o circolo dell'azoto il trapasso
dell'azoto dall'atmosfera alla sostanza vivente delle piante, degli
animali: il suo ritorno nell'atmosfera. Quali ne sono le pause?
Sotto l'azione di scariche elettriche atmosferiche (scariche oscure),
l'ossigeno e l'azoto dell'aria si combinano in ossido di azoto,
che, raggiunto dalle acque di pioggia, dà luogo ad acido
nitroso. Altro acido nitroso è procurato al terreno per l'opera
dei bacteri nitrosi, dèmoni microscopici del sottoterra,
scoperti da Winogradski nei 1891 Essi fabbricano acido nitroso ricavandolo
dall'ammoniaca e dai composti ammoniacali; che sono tra i proventi
della dissociazione organica, della putrefazione.
Una seconda categoria di bacteri, chiamati bacteri nitrici, trasforma
l'acido nitroso in acido nitrico. Questo, diluito nell'acqua di
circolo, al contatto delle "basi" del terreno dà
i sali nitrici, o nitrati, di cui le radici delle piante son ghiotte
Ecco le biade dei campi di Pansampognante, ecco il pane, la vita.
Le sostanze albuminose degli steli e del seme, gli amino-acidi,
il glùtine, contengono azoto e lo trasferiscono nell'organismo
degli animali.
La morte degli animali e delle piante, le foglie che si spiccano
e si dissolvono nell'autunno, riportano l'azoto al terreno, e la
vita stessa lo restituisce man mano al circolo, per i prodotti della
espirazione, del sudore, della escrezione.
Ora il compito del demiurgo autarchico, in fatto di azoto, è
quello di sopperire alla nostra agricoltura quel tanto di azoto
che il ciclo naturale non arriva a immettere naturalmente nel terreno.
L'industria umana percorre, in rincalzo alla natura, questo arco
del cielo: dall'aria al terreno. E lo percorre lungo alcune sue
strade sicure, se non facili, e solo da pochi decenni esplorate:
o da pochi anni tracciate.
Una è quella assai recente dell'ammoniaca sintetica, del
solfato ammonico, e dei nitroderivati: i kilowattora del Nera, ad
esempio, azionano anche una grande fabbrica di ammoniaca sintetica.
Essa vi è ottenuta coi geniali e italianissimi procedimenti
del chimico Luigi Casale, da Vigevano, scomparso ancor giovane nel
1927.
Un'altra via passa per il carburo di calcio e la calciocianamide.
Ed è pur questa una strada italiana, perchè i chimici
e gli industriali italiani vi hanno dedicato studio e tenacia.
Pensieri che mi suggeriva il frastuono della fabbrica mangiatrice
di roccia, il riverbero delle bocche incandescenti dei forni da
carburo. Ecco i dati naturali: il monte (carbonato di calcio purissimo,
d'un color bianco crema); quello che vedo spaccato da cima a fondo,
sopra la forra, nel sole dell'Umbria; l'atmosfera; il fiume, così
fervido e ricco.
Ai dati naturali corrispondono le opere; la fabbrica di carburo
e di calciocinnamide, le centrali elettriche. "Poichè
io - mi dice il demiurgo - adopero il fiume per rompere il monte.
La torbida e inconscia pienezza dell'acque me la lavoro a modo mio,
in centrale: ecco". Si aprì difatti al mio sguardo,
deserta e lucida, la sala della centrale: che è la più
potente di tutta urla serie; e si è bevuta la cascata delle
Màrmore. Le enormi trottole degli alternatori verticali,
da 50 mila cavalli (ognuno), affiorano in sala coi soli. "ragni"
delle relative eccitatrici, poichè le trottole sono alte
una quindicina di metri. I loro alberi sono consegnati alla stretta
dei supporti, disposti in più piani. Al piano più
basso, vidi le sentine della centrale.
La condotta, quattro metri di diametro, usciva dal monte: entrata
in quella cava, si diramava alle macchine: acciaio cerchiato di
acciaio. Le chiòcciole dei distributori di turbina, orizzontalmente
disposte, si attorcigliano d'attorno alle giranti ed agli alberi
verticali. Questi trasmettono l'impulso della rotazione ai soprastanti
generatori. Così l'impeto delle masse d'acqua vien trasformato
in una potenza che è occulta alla nostra filosofia.
Siamo risaliti fino al piano di cava. Dalla cava, per una passerella
in ferro, i carrelli vengono tragittati nel locale di preparazione,
sostano alle pesatrici, e riversano il loro carico di pietrame color
crema nelle tramogge dei frantoi. Tutto ciò avviene molto
in alto, in una regione aerea che sovrasta le paure del fiume, su
ponti, palchi e tralicci, percorsi dal capogiro. Poichè i
forni a carburo vengono caricati dall'alto e funzionano a gravità.
I frantoi, assordando la valle, cancellano la voce del fiume, riducono
la roccia in pezzetti poco più grossi d'una noce; e i carrelli
di caricamento dei forni vengono nuovamente pesati; così
da poter dosare secondo un rapporto fisso la roccia e il carbone
coke. Questo è sollevato da norie a tazza, che sono i suoi
normali elevatori.
Una delle torri di carico è colma. Se ne liberano, verso
la ciminiera, vapori bianchi, spessi.
Roccia e carbone frammisti discendono, discendono dentro la torre
preriscaldandosi, preparandosi alle temperature infernali. Poi il
materiale, mediante scaricatori comandati elettricamente, vien lasciato
cadere nella camera di presa della corrente. Il capo-posto regola
dal suo banco, per pedali e manopole, la condotta del forno, determina
le scariche, le piovute di pietrisco e carbone: alza ed abbassa
i pesanti gioghi degli elettrodi sulla massa contenuta nella camera
di reazione, ch'è un tino delle dimensioni di una casa, a
pianta ellittica.
Poi scendiamo, scendiamo: dove le bocche di scarico dànno,
liquido e incandescente, il carburo: che ha raggiunto i 2300 gradi.
Il volume inferiore del tino è carburo liquido, contenuto
da una spessa crosta (di 80-90 centimetri), che viene a salvare
il materiale refrattario della parete e del fondo.
Cinque o sei uomini, dandosi il cambio, accudiscono allo spillamento
del tino: con una lunga stanga di ferro, l'operatore si studia di
mantenere aperta la ferita del forno, la bocca di scarico. Ne cola
il carburo liquido e il bagliore e il calore sono insostenibili.
Col piede, elettricamente, l'operaio muove nei due sensi un trenino
di tinozze, che si sposta tra il paravento ed il forno, sotto lo
sgorgare della ferita, e accoglie quella polta demoniaca.
Il trenino poi se ne va sino all'attiguo padiglione di raffreddamento:
un altro lo sostituisce.
Là, dopo un giorno, il carro-ponte solleva, nel vuoto della
gran sala, le tinozze freddate, e le depone a un palco altissimo,
dove esse rovesciano il carburo, massa grigia, rappresa, nelle tramogge
di una nuova serie di frantoi: i superiori, a mascella.
Gli inferiori sono enormi cilindri in giacitura suborizzontale,
lunghi una ventina di metri, che ruotano fragorosamente, macinando
il carburo per l'azione di blocchetti di acciaio liberi. Ad evitare
che nel loro interno si sviluppi gas acetilene (da carburo e da
umidità) e ad ovviare il conseguente pericolo di formazione
di una miscela esplosiva, vi viene insufflata una corrente di azoto
secco: che è la miglior salvaguardia. Il carburo di calcio
ne esce finemente polverizzato.
Di questa polvere vengono riempite cene enormi cartucce: un nuovo
carro-ponte le solleva, le depone nei forni di azotazione. Sono
dei vasi in ferro: diametro più che due metri: alti più
che tre: allineati e stipati nel padiglione immenso. Ogni forno
accoglie una cartuccia. Caricatili e chiusili ermeticamente (hanno
un coperchio piatto, circolare) vi si fa pervenire l'azoto, la corrente
elettrica. Questa, nell'interno di ogni vaso, porta all'incandescenza
certi elettrodi di carbone, a bastoncino, che riscaldano il circostante
carburo e innescano e promuovono l'azotazione.
Una rete di tubi e una rete di barre distribuiscono ai forni azoto
e corrente. Dopo sessanta-settanta ore la massa è trasformata
in calciocianamide: composta di calcio, carbonio, azoto. Macinatala,
se ne ottiene una polvere bruna, volatile: la si umetta con olio
minerale perchè, allo spargerla lungo i coltivi, il vento
non se la porti.
Se ne riempiono dei sacchi da 100 chili, dopo averla diluita con
polvere di roccia per ridurre il tenore di azoto da 20-21 al 15%.
Cento chili di fertilizzante contengono dunque quindici chili di
azoto.
Ecco come l'azoto dell'aria è stato chiuso nei sacchi. La
visita alla fabbrica ha termine proprio nella sala di liquefazione
e distillazione frazionata dell'aria; l'impianto separa azoto a
un elevato grado di purezza.
Il monte, il fiume, l'atmosfera.
L'Italia è stata la prima Nazione a produrre calciocianamide
su vasta scala. La produzione odierna supera il mezzo milione di
quintali annui e si sforza di raggiungere la copertura del consumo.
(Azoto e altri scritti di divulgazione scientifica, Milano:
Libri Scheiwiller, 1986)
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