Nel 1889 un "consigliere delegato" della prefettura di
Grigenti scriveva ad un suo amico una lunga lettera sulle glorie
passate e le condizioni presenti della città: una piccola
guida, attenta, fervida. Gustosamente la stampò dieci anni
dopo il tipografo Francesco Montes, di cui si debbono altre nitide
edizioni di storia e curiosità locali. Dell'industria zolfifera
in provincia, l'opuscolo dà queste essenziali notizie: "la
ricchezza della provincia negli anni scorsi deriva dalle miniere
di solfo. Alla fine del 1886 ve n'erano 271 in esercizio, delle
quali 155 furono chiuse pel rinvilio del prezzo del minerale.
Il solfo si vendeva a lire 12 al quintale, e i minatori guadagnavano
dalle 6 alle 8 lire al giorno. Causa la così detta crisi
economica che affligge la Sicilia e l'Italia, e l'abbondanza del
minerale, il solfo costa oggi lire 4,80 il quintale, e gli operai
per non morire di fame si contentano della merce giornaliera di
lire 1,50. Nel 1888 dal Porto di Empedpocle furono esportate cantara
di solfo 1.847.350 ( un cantaro corrisponde a chilogrammi 79,342)
la più parte in Inghilterra in Francia ed in America.
La diminuzione del prezzo del minerale e delle mercedi si è
riverberata su tutti gli abitanti della città e della provincia,
che ne hanno risentito e ne risentono grave disagio". Il 1889 è
l'anno in cui Pirandello va a Bonn. Comincia, per la famiglia, il
"disagio"; ma non è ancora la rovina.
Questa viene, per don Stefano Pirandello, nel 1903 e ingoia anche
la dote di Antonietta Portulano - settantamila lire - che imprevidentemente
il figlio aveva lasciato da amministrare al padre. Imprevidente
fu per lo sfruttamento delle zolfare: e si diceva a rapina perché
soltanto si badava ad esrtrarre quanto più materiale era
possibile, senza preoccuparsi dell'avvenire della zolfara stessa
e, ancor meno, della sicurezza degli operai. Una triplice imprevidenza,
dunque: del figlio che lascia nelle mani del padre le settantamila
lire che potevano assicurargli una rendita; di don Stefano che investe
il suo e altrui denaro nel rimodernare gli impianti della zolfara;
di uno sfruttamento della zolfara con la vecchia e nefasta regola
della rapina ( che a pensarci bene, è stata regola del "modo
di essere" siciliano: aristocrazia, "burgisia", imprenditorialità,
mafia; e da ciò la rapidità dei ricambi e l'impossibilità
di un assestamento all'interno di ciascuna categoria).
Per cui, quando dal crollo di una parete l'acqua irrompe ad allagare
al zolfara, una famiglia che quietamente viveva a Roma di un magro
stipendio e di un non lauto assegno che mensilmente arrivava da
Girigenti, venuto a mancare l'assegno ecco che cade nel bisogno,
nell'angoscia del bisogno che tre bambini - il più grande
di otto anni - rendono quotidiana, continua. Angoscia che si somma
ad altre fino a quel momento segrete, rimosse: e Antonietta Portulanao
vi si smarrisce. La "roba" , la sua "roba", era rifugio, sicurezza,
identità. Come per lungo ordine d'anni e di sentimenti nella
sua famiglia - e in ogni famiglia pari alla sua - si era abituati
a concepirla.
Ma a parte l'incidenza che la crisi delle zolfare e l'allargamento
di quella d'Aragona e però nella vita di Luigi Pirandello
e della sua famiglia, un più intrinseco rapporto si intravede
- e meriterebbe lungo e attento studio - tra la zolfara e l'avvento
dello scrittore in quel vasto altipiano che và da Girgenti
a Castrogiovanni ( da Agrigento ad Enna). Senza l'avventura della
zolfara non ci sarebbe stata l'avventura dello scrivere, del raccontare:
per Pirandello, Alessio Di Giovanni, Rosso di San Saecondo, Nino
Savarese, Francesco Lanza. E per noi.
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And the Cardinal dying and Sicily over the ears -
Trouble enough without new lands to be conquered...
We signed on and we sailed by the first tide...
A. MAC LEISH, Conquistador
Gli zolfatari del mio paese chiamano antimonio il grisou.
Tra gli zolfatari, è leggenda che il nome provenga da antimonaco:
ché anticamente lo lavoravano i monaci e, incautamente maneggiandolo,
ne morivano. Si aggiunga che l'antimonio entra nella composizione
della polvere da sparo e dei caratteri tipografici e, in antico,
in quella dei cosmetici. Per me suggestive ragioni, queste, ad intitolare
L'antimonio il racconto.
I. Sparavano dal campanile: secondo i nostri movimenti, raffiche
brevi di mitragliatrice o precisi colpi di fucile. Il paese era
solo una strada cieca, case basse e bianche, e in fondo una chiesa
dalla grezza facciata di arenaria con due rampe di gradinata e un
campanile a vela di tre arcate. Dal campanile sparavano. Eravamo
entrati credendo avessero completamente abbandonato il paese, ma
le raffiche della mitragliatrice e i colpi di fucile ci fermarono
alle prime case[...]
(da: Leonardo Sciascia, Opere 1956-1971, a cura di Claude
Ambroise, Milano: Bompiani, 1987)
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