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Sezione 17: UN'ARTE RINNOVATA NELLA MATERIA
La chimica e le arti

     

Una breve ma significativa rassegna di opere d'arte contemporanea: Bruno Munari, Alberto Burri, Pinot Gallizio, Carol Rama, Fausto Melotti, Mario Merz, Piero Gilardi, Luigi Stoisa, Laura Ambrosi e Cristiano Berti testimoniano come la chimica abbia saputo cambiare la società contemporanea con la produzione di nuovi materiali.

L'industria delle sintesi, dopo il secondo conflitto mondiale si affaccia su nuovi orizzonti di ricostruzioni e di miracoli economici. Anche gli artisti trovano nei nuovi materiali lo stimolo per rompere gli schemi legati ai materiali tradizionali dell'arte e sperimentano nuovi linguaggi e nuove forme di espressione.

 
Immagini di materia ordinaria

Quando la materia ordinaria cessa di essere tale per trasformarsi in un elemento decisivo per conseguire il traguardo dell'espressione artistica: questo potrebbe essere il senso da attribuire a questa sezione del progetto espositivo.

La scelta di introdurre materiali "altri" nel territorio dell'espressione è un fatto ben noto nelle problematiche dell'arte del Novecento, ed è stato oggetto di un'indagine ravvicinata anche di recente, nell'interessante mostra su: "Arte italiana, ultimi quarant'anni. Materiali anomali" tenutasi alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna nel 1997. La soglia su cui ci si era affacciati era quella della panoramica delle esperienze più recenti di sperimentazione di tecniche e materiali, appunto, inediti ed estranei alla tradizione artistica; convenientemente, senza con ciò attestarsi sulla ricognizione di un campionario linguistico che avesse pretesa di diventare spiegazione dell'opera d'arte e delle ragioni della sua esistenza.

Certo, invece, in questa occasione le testimonianze scelte potranno essere inserite in un contesto concettuale ancora più limitato, ma non per questo meno utile al disegno complessivo di una ricognizione estensiva sulla materia e sulle sue attribuzioni di senso, sulle sue applicazioni, trasformazioni, e persino sui fraintendimenti della sua comprensione nel corso del tempo.

Anche in questa circostanza non si è trattato di selezionare casi emblematici della ricerca artistica del secondo dopoguerra con l'intenzione di penetrarne i segreti, magari tramite una chiave interpretativa ulteriore. Si è scelto però di sostenere la lettura di un'arte contemporanea di rilievo per la quale è impossibile sottrarsi dall'indagare la materia. Per conoscerla, per farla propria, per assumerla nel proprio processo, creativo o rappresentativo che sia.

La materia, dunque. In questa occasione non qualsiasi materia, ma, per meglio intenderci, quelle più nuove e notevoli. Stiamo parlando dunque di un'arte contemporanea che assume i tratti della contemporaneità non soltanto descrivendola, ma assorbendone in sé i tratti fisici innovativi; di un'arte, nel complesso, scevra dal perseguimento di anacronismi (ma un'eccezione si annida, benché sapientemente camuffata, nel novero delle scelte). Questa decisione, nell'universo dell'espressione contemporanea, ha condotto con sé due importanti varianti nella definizione di opera d'arte: la scelta di impiegare materie nuove non ha escluso - coscientemente - la conoscenza della alterabilità delle stesse. Tale materiali inediti non potevano esimersi da un processo degenerativo (compresa la plastica "indistruttibile") di cui non si sapeva quasi nulla; inoltre, talune sostanze potevano possedere una instabilità intrinseca, difficilmente governabile da parte dell'artista.

Per l'arte di ricerca contemporanea si è trattato allora, in qualche misura, di scegliere di mettere in conto, a fronte dell'assolutezza di certi gesti, il transeunte ad essa connaturato come fatto anche intrinseco: perché riferibile alla sua stessa struttura fisica. La polimerizzazione delle plastiche, la polverizzazione di gomme e poliuretani non hanno escluso il loro utilizzo, mettendo di fatto l'arte al di fuori di una qualsivoglia atemporalità ed eternità ad essa idealisticamente attribuibile.

Ma la materia, ancorché nuova e pertanto relativamente sconosciuta nelle sue reazioni al tempo, venne assorbita nella nuova creatività del secondo dopoguerra non solo secondo quanto sopra indicato ma anche perché, coscientemente, veniva interpretata come fattore attivo di trasformazione dell'opera stessa. Certi materiali potevano essere inseriti nell'opera perché facevano parte dell'universo della contemporaneità (vedi il neon) e perché intrinsecamente recanti un continuo processo di trasformazione.

Per sgombrare il campo da equivoci certi, almeno in questo orizzonte di lavoro, varrà la pena di precisare che questi ottenimenti sono sempre stati conseguiti al di là di qualsiasi considerazione scientifica. Qualsiasi scelta di impiegare materiali "altri" nella realizzazione dell'opera - di taglio estetico come antiestetico - è stata innanzitutto collegabile ad una dichiarazione di taglio concettuale o formale.

I materiali del presente consentivano (allora come oggi) di stare a ridosso del mondo, nel territorio dell'arte, generando nuove espressioni.

 

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