Una breve ma significativa rassegna di opere d'arte contemporanea:
Bruno Munari, Alberto Burri, Pinot Gallizio, Carol Rama, Fausto
Melotti, Mario Merz, Piero Gilardi, Luigi Stoisa, Laura Ambrosi
e Cristiano Berti testimoniano come la chimica abbia saputo cambiare
la società contemporanea con la produzione di nuovi materiali.
L'industria delle sintesi, dopo il secondo conflitto mondiale si
affaccia su nuovi orizzonti di ricostruzioni e di miracoli economici.
Anche gli artisti trovano nei nuovi materiali lo stimolo per rompere
gli schemi legati ai materiali tradizionali dell'arte e sperimentano
nuovi linguaggi e nuove forme di espressione.
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Quando la materia ordinaria cessa di essere tale per trasformarsi
in un elemento decisivo per conseguire il traguardo dell'espressione
artistica: questo potrebbe essere il senso da attribuire a questa
sezione del progetto espositivo.
La scelta di introdurre materiali "altri" nel territorio
dell'espressione è un fatto ben noto nelle problematiche
dell'arte del Novecento, ed è stato oggetto di un'indagine
ravvicinata anche di recente, nell'interessante mostra su: "Arte
italiana, ultimi quarant'anni. Materiali anomali" tenutasi
alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna nel 1997. La soglia su cui
ci si era affacciati era quella della panoramica delle esperienze
più recenti di sperimentazione di tecniche e materiali, appunto,
inediti ed estranei alla tradizione artistica; convenientemente,
senza con ciò attestarsi sulla ricognizione di un campionario
linguistico che avesse pretesa di diventare spiegazione dell'opera
d'arte e delle ragioni della sua esistenza.
Certo, invece, in questa occasione le testimonianze scelte potranno
essere inserite in un contesto concettuale ancora più limitato,
ma non per questo meno utile al disegno complessivo di una ricognizione
estensiva sulla materia e sulle sue attribuzioni di senso, sulle
sue applicazioni, trasformazioni, e persino sui fraintendimenti
della sua comprensione nel corso del tempo.
Anche in questa circostanza non si è trattato di selezionare
casi emblematici della ricerca artistica del secondo dopoguerra
con l'intenzione di penetrarne i segreti, magari tramite una chiave
interpretativa ulteriore. Si è scelto però di sostenere
la lettura di un'arte contemporanea di rilievo per la quale è
impossibile sottrarsi dall'indagare la materia. Per conoscerla,
per farla propria, per assumerla nel proprio processo, creativo
o rappresentativo che sia.
La materia, dunque. In questa occasione non qualsiasi materia,
ma, per meglio intenderci, quelle più nuove e notevoli. Stiamo
parlando dunque di un'arte contemporanea che assume i tratti della
contemporaneità non soltanto descrivendola, ma assorbendone
in sé i tratti fisici innovativi; di un'arte, nel complesso,
scevra dal perseguimento di anacronismi (ma un'eccezione si annida,
benché sapientemente camuffata, nel novero delle scelte).
Questa decisione, nell'universo dell'espressione contemporanea,
ha condotto con sé due importanti varianti nella definizione
di opera d'arte: la scelta di impiegare materie nuove non ha escluso
- coscientemente - la conoscenza della alterabilità delle
stesse. Tale materiali inediti non potevano esimersi da un processo
degenerativo (compresa la plastica "indistruttibile")
di cui non si sapeva quasi nulla; inoltre, talune sostanze potevano
possedere una instabilità intrinseca, difficilmente governabile
da parte dell'artista.
Per l'arte di ricerca contemporanea si è trattato allora,
in qualche misura, di scegliere di mettere in conto, a fronte dell'assolutezza
di certi gesti, il transeunte ad essa connaturato come fatto anche
intrinseco: perché riferibile alla sua stessa struttura fisica.
La polimerizzazione delle plastiche, la polverizzazione di gomme
e poliuretani non hanno escluso il loro utilizzo, mettendo di fatto
l'arte al di fuori di una qualsivoglia atemporalità ed eternità
ad essa idealisticamente attribuibile.
Ma la materia, ancorché nuova e pertanto relativamente sconosciuta
nelle sue reazioni al tempo, venne assorbita nella nuova creatività
del secondo dopoguerra non solo secondo quanto sopra indicato ma
anche perché, coscientemente, veniva interpretata come fattore
attivo di trasformazione dell'opera stessa. Certi materiali potevano
essere inseriti nell'opera perché facevano parte dell'universo
della contemporaneità (vedi il neon) e perché intrinsecamente
recanti un continuo processo di trasformazione.
Per sgombrare il campo da equivoci certi, almeno in questo orizzonte
di lavoro, varrà la pena di precisare che questi ottenimenti
sono sempre stati conseguiti al di là di qualsiasi considerazione
scientifica. Qualsiasi scelta di impiegare materiali "altri"
nella realizzazione dell'opera - di taglio estetico come antiestetico
- è stata innanzitutto collegabile ad una dichiarazione di
taglio concettuale o formale.
I materiali del presente consentivano (allora come oggi) di stare
a ridosso del mondo, nel territorio dell'arte, generando nuove espressioni.
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