Nel 1904 anche Luigi Einaudi scriveva preoccupato sul Corriere
della Sera a proposito dell'acqua potabile, del gas, dell'impianto
idroelettrico e del piano regolatore di Torino. I costi relativamente
bassi dei "servizi", così considerati dalla legge
Giolitti del 1903, avevano creato in città uno sviluppo tumultuoso
delle industrie (solo le industrie automobilistiche nel 1907 erano
71), che avevano potuto scegliere liberamente la zona di espansione
e così il disordine regnava sovrano: ciminiere e palazzine
delle buona borghesia convivevano malamente nonostante gli imperativi
della legge sanitaria che imponeva almeno l'allontanamento
delle fabbriche chimiche dalla zona dei villini. Il riordino della
città con l'inevitabile piano generale, e di così
vaste proporzioni, troverà in quegli anni una resistenza
nella borghesia torinese per il prevedibile aumento fiscale reso
necessario dall'ingente impegno finanziario del comune.
Il caos e l'affollamento non erano solo di Torino; gli inconvenienti
igienici provocati dalle epidemie avevano messo a nudo anche in
Italia il complesso dei problemi legati al fenomeno spingendo ad
organizzare strategie più complete: una di queste è
"l'esproprio" che prima del 1885 era limitato all'esecuzione
di opere pubbliche, ma in quell'anno per la grave epidemia
scoppiata a Napoli lo Stato interviene direttamente anche nel controllo
dell'edilizia estendendo l'esproprio ai quartieri malsani
per motivi di igiene.
Seguendo le caratteristiche della fine del secolo, il movimento
e la velocità intervengono anche nelle strategie di disinfezione
in cui si stabilisce che il liquame non debba ristagnare in depositi
chiusi ma essere prontamente allontanato tramite reti fognarie.
E così il coordinamento degli interventi di legislazione
sanitaria diventano i precursori di disegni generali che coinvolgono
l'intera città e che si chiameranno piani regolatori.
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Prospetti del villino
della "Ingegneria sanitaria" (1900)
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