L'industria dei fiammiferi è stata una delle protagoniste
della vita economica italiana nell'Ottocento prima che la spinta
data dall'agricoltura trascinasse con sé la produzione
dei fertilizzanti.
Pur essendo un settore di successo a causa della bassissima tecnologia
(il fosforo bianco e i fuscelli di legno venivano mescolati con
lo zolfo anche sui tavoli da cucina), il basso punto di infiammabilità
del fosforo bianco e la tossicità della sostanza (già
venti anni dopo la sua introduzione nell'industria il fosforo
superava l'arsenico come mezzo usato negli avvelenamenti) ne
facevano una materia prima pericolosa e scomoda.
L'aspirazione dei vapori di fosforo, o il semplice contatto,
causava un'intossicazione cronica negli operai chiamata "male
chimico" o fosfonecrosi delle ossa, grave malattia professionale
che in molti casi portava alla morte.
Riuscite vane le semplici precauzioni adottate all'estero nel
maneggiamento del fosforo bianco, si rese necessario vietare l'uso
della sostanza con la stipula della Convenzione di Berna nel 1906
che doveva essere sottoscritta dai governi aderenti.
L'Italia si dimostrerà "pigra" a prendere
provvedimenti e, dovendo conciliare la necessità di difendere
la salute con quella, non meno sentita, di non ledere interessi
economici, convertirà la legge nel 1923, ben 80 anni dopo
l'indicazione del nesso eziologico tra fosforo bianco e fosfonecrosi.
Bibl.: N. Nicolini, Il pane attossicato. Storia dell'industria dei
fiammiferi in Italia 1860-1910, Napoli : DSE Bologna - Cuen, 1997
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Manifesto di fiammiferi senza fosforo
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