a1 a2 a3
a4

 

Sezione 14: RISCHI E BENEFICI
Il difficile equilibrio

Roma, 25 luglio. Sembra che nei documenti che consentivano alla Icmesa di Seveso di ottenere il periodico rinnovo delle autorizzazioni, la produzione della ditta fosse genericamente indicata in "sostanze intermedie impiegate nella fabbricazione di prodotti cosmetici, igienici e medicinali". Sembra pure che il consiglio di fabbrica, dopo aver chiesto più volte di sapere che cosa si produceva nello stabilimento, non sia mai riuscito ad accertarlo. Sembra pure che i sindacati non abbiano mai fatto nulla per esigere chiarimenti e dispositivi di sicurezza proporzionati.
E così non dobbiamo meravigliarsi se la rottura di una valvola è bastata a mandare 34 persone in ospedale, a far morire gli animali, a contaminare per almeno tre anni una zona che la pioggia dei giorni scorsi ha reso ancora più vasta ma anche a rivelare una realtà impressionante: viviamo a contatto di gomito con gli strumenti dell'apocalisse e non lo sappiamo.
Diserbante vietato   Quintali di veleno.
Con il consiglio di fabbrica e i sindacati, l'opinione pubblica ha scoperto che in quello stabilimento bella Brianza si produceva un diserbante, l'acido 2,4,5, triclorofenossiacetico, il cui impiego in agricoltura è vietato da un decreto del ministero della sanità (DM n. 237, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18-9-1970 ) e la cui azione è risultata tanto micidiale e sconvolgente da indurre perfino gli americani a sospenderne l'uso in Vietnam.
E abbiamo pure scoperto che durante la produzione di questa tremenda sostanza se ne genera un'altra ancora più letale, la tetraclorodibenzoparadiossina (Tedd), che appare in quantità minima se il procedimento è normale ma può svilupparsi in quantità assai maggiore se la temperatura - come è avvenuto alla Icmesa per cause ancora da precisare - supera i 180-200 gradi.
Per valutare meglio la pericolosità della Tedd, basti pensare che 200 grammi immessi nell'acquedotto di New York trasformerebbero la metropoli in un cimitero. La nube di Seveso, a quanto si dice, ne conteneva più di due chili.
Ma non è ancora tutto. Il consiglio di fabbrica della Icmesa ha dichiarato che questa produzione era già stata avviata negli anni 60, era terminata al momento dell'armistizio in Vietnam ed era ripresa in sordina cinque mesi fa. Inoltre nell'elenco delle industrie chimiche la Icmesa figurava fra quelle definite genericamente "insalubri" come un qualsiasi allevamento di porci.
Quante altre industrie italiane sfornano sostanze mortali quasi all'insaputa di tutti? Nessuno potrebbe dirlo con precisione: gli elenchi se non sono incompleti, sono spesso generici. Le leggi pur essendo carenti, sovrapposte o confuse, servirebbero a qualcosa se venissero rispettate. Ma non sempre lo sono anche per la sicurezza generica.
Qualche tempo fa nei pressi di Venezia un aeroplano andò a schiantarsi a poca distanza da un certo numero di serbatoi lasciati all'aperto come se fossero stati serbatoi d'acqua: contenevano tanto fosgene da uccidere alcune decine di migliaia di persone.
La nostra analisi non deve però fermarsi a questi eventi macroscopici per denunciare i pericoli che tutti quanti stiamo correndo. La nostra leggerezza nel maneggiare e disperdere veleni ha dell'incredibile. Le statistiche relative all'impiego dei Ddt lo dimostrano al di sopra di ogni equivoco. In Italia, dai 7 mila quintali di Ddt usati nel 1958 siamo passati ad oltre 22 mila quintali nel 1969. E ciò accadeva proprio mentre in moltissimi altri paesi l'uso dei Ddt diminuiva progressivamente, fino ad essere proibito per legge.
Con la propaganda sottile, accorta, utilissima a far aumentare gli utili di gestione ma profondamente egoista, irresponsabile e criminale, molte industrie chimiche si preoccupano soltanto di vendere, senza minimamente darsi la pena di accettare se la distribuzione incontrollata di prodotti chimici reca danni irreparabili agli uomini.
  La legge italiana permette per esempio di usare in agricoltura il parathion, una sostanza della quale basta un solo grammo per uccidere un uomo. Un'allarmante statistica della Fso ci informa che nel 1971, mentre le altre nazioni europee più evolute hanno impiegato soltanto 3 mila quintali di esteri fosforici, con percentuali ridottissime di parathion, l'Italia ne ha usati ben 56 mila quintali, fra i quali 12 mila quintali di parthion, cioè quel che basta per uccidere un miliardo e 300 milioni di uomini. Sulle confezioni di prodotti per l'agricoltura venduti liberamente in Italia si leggono frasi come queste: "Sostanza pericolosa per ingestione, inalazione e contatto con la pelle. Conservare in luogo inaccessibile ai bambini e animali domestici. Non contaminare altre colture, alimenti, bevande, e corsi d'acqua. Evitare il contatto con gli occhi, la pelle, gli indumenti". Oppure: "Attenzione: da impiegarsi esclusivamente in agricoltura. Ogni altro uso è pericoloso. Chi impiega il prodotto è responsabile anche nei confronti di terzi per eventuali danni". E così scrivendo i produttori della micidiale sostanza si mettono a posto con la coscienza: da quel momento la responsabilità si è trasferita totalmente a chi se ne serve.
A causa della carenza di manodopera in agricoltura, sostanze di questo genere vengono irrorate quasi esclusivamente a macchina, con il risultato di spargerne al meno il 40 per cento in più del necessario. Cadute sul terreno o dilavate penetrano nei vegetali attraverso foglie e radici e scendono fino ad inquinare le acque sotterranee. Il risultato finale è sconvolgente: dopo poco tempo questi veleni arrivano sulla nostra tavola, sul nostro piatto, nel nostro bicchiere.
Un impiego così disinvolto di pesticidi dovrebbe fornire come contropartita una produzione agricola quantitativamente e qualitativamente superiore. Invece sono ancora le statistiche a informarci che la produttività è rimasta praticamente invariata rispetto all'epoca in cui si usavano diserbanti e pesticidi non tossici. Non solo, ma i risultati ottenuti sono diminuiti dalle perdite subite. Al contatto con questi terribili veleni molti uccelli utili all'agricoltura proprio perché eliminano senza danno i parassiti nocivi, muoiono in quantità tanto grande da provocare l'estinzione della specie. D'altra parte i parassiti riescono a rinforzare, di generazione in generazione, la loro resistenza agli agenti chimici, acquistando un'immunizzazione che li rende resistenti anche ad essi. Ci avveleniamo gratuitamente, quindi, e rendiamo più forti quello stessi nemici che la natura, con il minimo danno per la produzione agricola, riusciva a distruggere senza danno per l'uomo. In fondo, i veri sconfitti di questa guerra siamo noi.

Bruno Ghibaudi, Letali strumenti da apocalisse che si maneggiano ogni giorno, in "La Stampa Sera", lunedì 26 luglio 1976, anno 108, numero 158, pag. 3.

 

        home        
               
               
indietro - index - visita - chrono - avanti
indietro   index sezione chrono   avanti
 
a5
a5
a5
fullerene fullerene